Debutto per i Bachi da Pietra con un album che emerge dalla massa musicale italiana contaminata da brutti suoni e malaticcia. Ebbene, nonostante la mia tendenza a generalizzare, riesco a trovare, in questo rottame musicale, un disco che sa di nuovo, ben suonato, emozionante, uno dei progetti più originali del rock italiano degli ultimi tempi.
"Tornare nella terra" è stato registrato nelle cantine della sacrestia di San Ippolito a Nizza Monferrato e, nell'ascoltare questo lavoro, si riescono a percepire gli ambienti, il clima, l'aspetto sotterraneo di questo luogo. La musica di questo duo è primitiva, minimale, arcaica, scarna, post-fordista. Emerge, dai testi e dalla musica, un'inquietudine ossessiva, metropolitana, frutto del progresso e della tecnologia. Le parole sono appena pronunciate, sussurrate, biascicate, provengono dalle viscere della terra. È la terra che chiama, che ci vuole, che vuole riavvicinarci ad essa e il suo è un canto profondo, disperato, inquieto, che non trova pace. La terra dà vita e vuole vita, ha in mano la nostra sorte e conosce il nostro cammino.
"Tornare nella terra" colpisce dentro l'ascoltatore, lo ipnotizza con suoni sporchi e testi arrabbiati, e descrive il vivere, il vissuto quotidiano, opaco e buio, che provoca ferite sul corpo purulenti. Tutto il malessere della società tecnologica si evince in questo disco, non v'è redenzione, si respira appena, siamo di fronte a canzoni che influenzano terribilmente lo stato d'animo proprio perché scandagliano a fondo il nostro vivere quotidiano. Quest'esordio dei Bachi da pietra dovrebbe essere ascoltato da tutti, indistintamente, per vedere che tipo di reazione provoca o meglio per scoprire che tipo di sensazioni dà. Ma, purtroppo, non è musica per tutti, è una prova di resistenza fisica e, purtroppo, "l'utenza italiana" non è abituata a questo tipo di genere riflessivo, atrocemente interessante, lento e appagante, sospeso e malsano.
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