I luoghi comuni hanno un fondo di verità. "I neri hanno il ritmo nel sangue". E' vero. Sono stati i maestri della "musica ritmica", contrapposta a quella melodica tramandata per secoli dalla tradizione bianca europea. Musica ritmica, come il blues e i suoi derivati, rock compreso. Se qualcuno avesse pensato per un momento che ci fosse stato un genere, nella Storia del Rock, ad essere stato inventato (o almeno ispirato) dalla cultura "white", questo sarebbe evidentemente il punk (e il suo fratello minorenne, ma ben più sveglio: l'hardcore statunitense). Sarebbe. E invece, in parte, non lo è. Perché i neri, quelli che, una volta deportati dall'Africa, hanno fatto grande la musica moderna occidentale, hanno lasciato un'impronta fondamentale anche nel rock più intenso ed estremista di sempre. Se infatti è corretto affermare che "G.I.", l'unico LP dei formidabili californiani Germs di Darby Crash, uscito nel 1979, segnò il passaggio dal punk all'hardcore (anche se non tutti sono d'accordo, attribuendo la paternità della musica, ma soprattutto dell'etica HC, ai concittadini Black Flag di Greg Ginn), non si può fare finta di non accorgersi che, più o meno nello stesso periodo, sull'altra costa c'era chi faceva una musica forse anche più violenta, frenetica e sconvolgente. Erano i Bad Brains. Ed erano neri. Tutti e quattro.
Abitavano a Washington D.C., ma ben presto furono banditi dal District e ripiegarono su New York. Inutile dire che influenzarono tanto il DC-core della Dischord, quanto l'hc-metal della Grande Mela (questo per quanto riguarda i primi anni 80, perché se ci volessimo esporre fino a metà decennio, scopriremmo che il loro secondo LP, "I Against I", praticamente si inventò di sana pianta il cosiddetto "crossover"...insomma una band indispensabile, davvero). Erano musicisti provetti, raffinati, sapienti ed espressivi. Prima di scoprire il punk, suonavano jazz e fusion. Immaginatevi la velocità, la potenza, l'oltranzismo e l'intransigenza dell'hardcore old-school, in mano a dei jazzisti. Forse solo i Fear, all'epoca, vantavano la stessa esplosiva combinazione di violenza e capacità esecutive, ma i Fear erano un altro paio di maniche. La sfiga dei Bad Brains è che il loro primo LP uscì solo nel 1982, quando oramai erano già stati pubblicati gli esordi seminali dei vari Minor Threat, Black Flag, Adolescents etc... Così la Storia discografica li ha relegati a band esplosiva, ma non pionieristica. La pubblicazione negli anni 90 di "Black Dots", raccolta di materiale del 1979, ha fatto giustizia.
C'è la devastante "Pay To Cum", quintessenza dell'hardcore, praticamente i Ramones a velocità tripla, con l'amaro in bocca. C'è il capolavoro "Black Dots", che sguinzaglia inebrianti scale blues lasciate correre a velocità supersonica. C'è "At The Atlantis", affranta, col falsetto strapazzato di H.R. che pare scivolare da una rupe vomitando lacrime e la chitarra di Dr. Know che trasuda costernazione da ogni accordo; poi "Don't Need It", immerso nelle stesse infuocate atmosfere del leggendario "Land Speed Record" che gli Huskers registrarono a Chicago un paio d'anni dopo. E' già un hardcore maturo, pieno di digressioni, cambi di tempo e di stile: "Supertouch Shitfit" parte come uno viscido garage-blues alla Stooges, rallenta con un minaccioso riff proto-Metallica e poi riparte a tutta birra, un po' come "Overkill" dei Motorhead. E' sempre un caos controllato quello dei Bad Brains. La sezione ritmica, anche quando pare abbandonarsi ad un puro delirio percussivo, non perde mai compattezza e precisione, concedendosi persino sprazzi di poesia, come in "Regulator", aperta dal plumbeo basso-fantasma di Darryl Jennifer che passeggia sulla risacca mossa dai piatti di Earl Hudson. Quest'ultimo si affida spesso al tamburello, espediente batteristico del rock più classico, per dare il là alle brucianti ripartenze della band, mentre Jennifer è il regista invisibile dei repentini cambi d'umore all'interno dei brani e Dr. Know trova pure il tempo per lancinanti assoli alla Jimmi Page ; H.R., dal canto suo, esibisce la nuda gamma di emozioni che un essere umano può provare, dall'euforia alla disperazione. Insomma, quattro musicisti al top della forma.
Per chi non lo sapesse, i Bad Brains erano rastafariani e proponevano anche un repertorio reggae. Contrariamente a quanto emerge dal loro primo LP, dove lo stile HC non si fonde mai con quello caraibico, in questa raccolta ci sono un paio di brani, "Why'd You Have To Go" e "The Man Won't Annoy Ya", dove la partitura reggae viene interpretata con lo spirito viscerale dell'hardcore. Ci sono anche brani, come "Attitude", "How Low Can A Punk Get" e "Banned In DC", che verranno riproposti in versione assai corroborata sul medesimo "Rock For Light", qualche anno dopo. "Redbone In The City" è l'unico brano mediocre del disco, un antipatico epigono dei Sex Pistols.
Una raccolta imperdibile, per gli appassionati di hardcore a stelle e strisce e per tutti quelli che alla musica chiedono emozioni forti, estreme, assolute.
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