In un'assenza di manifesta superiorità i Bad Brains si concedono una digressione di vanità impersonale e nel pieno di una superba svogliatezza elargiscono carità nel fermare sul nascere qualsiasi tentativo da parte di altri nel partorir tenzoni. Non c'è partita in partenza, superiorità schiacciante, densità trasparente e impenetrabile che esclude proselitismo di eventuali epigoni. È come se suonassero in una bolla-limbo che galleggia in zone ad altri irraggiungibili.
Si parte moooolto bene, in "Soul Craft" si canticchia all'inizio e non c'è da fidarsi ed infatti parte un riff corposo che si gusta come non mai. Si sentono subito i millenni concitati degli eterni ritorni, e si ricordano. La narrazione continua su "Voyager into Infinity" che va giù pesante e dinamica. Ad un certo punto chitarra e canto creano nausea e vertigine ma ci piace, eccome ci piace.
Su "The Messengers" l'accelerazione e la voce un po' schifata rasa tutto e fa pulizia di dubbi. Iniziamo a percepire il piacere che non comprendevamo della precisione degli orologi svizzeri, qui il meccanismo rasta-core è ancora più netto. Gioiosa e solare nella sua cadenza da sabba party è "With the Quickness" dove esce fuori addirittura un ritmo ballabile dove sorprendentemente chi ha subìto una operazione alle anche ritrova l'originaria deambulazione.
Si è caldi al punto giusto in "Gene Machine/Don't Brother Me" dove cambi di velocità, esaltanti a dir poco, ci portano nella seconda stanza e uno psycho reggae ci immette in un voodoo elettrico. Strillate allucinazioni semilucide ci accompagnano in "Don't Blow Bubbles" dove dinamico secco è il prana.
Si fa scuola in "Sheba" raccontando, intorno al fuoco, la storia del punk hard-core e la cosa è alquanto coinvolgente. Giocosa "Yout' Juice" ma attenzione, si scherza fino a un certo punto cólla dinamite. Miccia corta o miccia lunga?
Echi cavernosi di un passato movimentato sedimentano in "No Conditions" e ti fanno uscire alla luce della notte. È l'alba e sei corroborato da questa pioggia di lapilli incandescenti di stelle cadenti che escono fuori da "Silent Tears" e una calma apparente arriva poi da "The Prophet's Eye" che mette d'accordo tutti con un reggae definitivo. La feroce bellezza di questo pezzo fa da setaccio nel rinvenire pepite di metallo stellare e la "Entro" finale è una sveglia nel ricordare che il vero spettacolo va in onda sempre nei canali non convenzionali, bisogna andarselo a cercare.
Insomma "Rock for Light" è un capolavoro giovane ma su questo si gusta la consapevolezza di gente che sta recuperando barlumi coscienti di vite precedenti e il casino ricordato lo mette in musica creando un battito "de core" galattico. Comunque vada i Bad Brains spaccano, sempre...
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