<< Bisogna lasciare il passo alle nuove generazioni: anche perché se non glielo lasci se lo prendono comunque.>>

Due sono le cose che temo: la prima, la più imporntate, è l'inesorabile scorrere del tempo, che con un'anudita prepotenza, sbiadisce ogni cosa, saccheggiandone le peculiarità e gettandola nell'oblio; la seconda, meno di impatto, è il momento esatto nel quale non riuscirò più a trovare un punto di contatto con la musica che muove le teste delle generazioni più giovani.

Non ci si può fare nulla, prima o poi capita a tutti: chi a 25 anni, chi a 40 e chi è nato completamente distaccato dalla propria epoca e trova rifugio solo in un opaco passato idealizzato, frutto più di elucubrazioni mentali e proiezioni distorte vomitate da terzi. Un fatto, non ci si può fare niente.

Domani è il mio compleanno e con lo spettro dei 30 in avvicinamento (maledetto, sento il suo fiato fetido sul collo), qualche crepa, da assiduo ascoltatore, la vivo pure io. Non è andata male fino ad ora, ma certe ondate giovanili proprio non mi solleticano i testicoli. Zero, merda da australopitechi che si ficcano banane nel culo muovendosi a ritmo. Avessi avuto qualche anno di meno, probabilmente quelle banane me le sarei messe pure io nel culo, muovendomi a ritmo. O forse no.

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IL FOTTUTO RAGGAETON, luridi brufoli sulle chiappe della società, è il genere predominante degli utilmi 10 anni, quello che sputa in culo a qualsiasi altro genere, dal suo trono sulle app di musica in streaming. Un genere giovane (non sto a farvi la storia, non interessa a me, non interessa a voi, che siete appunto dei brufoli sulle chiappe della società). Una produzione vasta, su scala globale, che volenti o nolenti, ci tormenta. Prima era un divertissement relegato al solo arco temporale estivo, ma adesso ogni stracazzo di settimana esce qualcosa. Il 4 maggio, il 2 novembre, il 13 agosto porca puttana persino nello stracazzo di giorno di Natale una di questi maledetti beduini pensa a pubblicare l'ennesima hit. Si, miei cari: è solo di hit che si parla.

Eppure una produzione così vasta ancora fatica a trovare una propria dignità, prodotti che, seppur incentrati a muovere le chiappe, possano vantare una certa nobiltà. Ci siamo riusciti con ogni forma musicale, persino a quello schifo di EDM si guarda con nostalgia, parlando in certi casi di CLASSICI.

La cosa da un fastidio enorme in particolare ad un simpatico e coloratissimo personaggio con il curioso nome d'arte di Bad Bunny, al secolo Benito Antonio Martínez Ocasio: un soggetto atipico, figlio di Porto Rico, con la smania per figa e motori, che ha fatto del crossover e della fusion gli elementi cardine della sua proposta musicale.

Andiamo con ordine: nel 2013 parte in sordina con la pubblicazione di qualche pezzo su Soundcloud e il successo non tarda ad arrivare; piccolo salto temèprale, siamo nel 2018, è il 24 Dicembre, e Bad Bunny pubblica l'esordio discografico che arriva in frettissima al diamante. 7 mesi dopo, la collaborazione con un'altra istitutizione del genere, J Balvin e ennesima abbuffata di platini. 9 mesi dopo, a ridosso della pandemia globale, con i club di tutto il mondo che esalavano gli ultimi respiri prima della chiusura, pubblica il suo manifesto.

Tradotto: FACCIO QUELLO CHE VOGLIO

E lo fa, cazzo. Musica che trova la sua raison d'être unicamente nei dancefloor, mentre viscida si muove tra corpi sudati e inebriati dall'acool, arriva su tutte le piattaforme il 29 febbraio di quel fatidico 2020.

Un prodotto mastodontico (una tracklist corposa contenente la bellezza di 20 pezzi), un entusiasmantee coloratissimo kaleidoscopio musicale dal sapore estivo, capace di catturare l'essenza di quei pomeriggio pigri e assolati di Luglio, dove il caldo narcotizza ogni impulso vitale. Un percorso musicale in bilico tra contemporaneità (t)rap e stilemi raggaeton classicheggianti. Uno sguardo ai grandi pezzi del passato, ripuliti e riadattati. Addio a quell'ossessione verso il machisimo ad ogni costo, da sempre peculiarità del genere, retaggio culturale di un contesto sballato. Sempre presente invece la sessualità, meno volgare, richiamata tramite il ballo, il perreo. In altre sedi si è parlato di progressismo, ma è più calzante il concetto di duttilità, conseguenza di una grande interpretazione de tempi.

Già a partire dal zuccheroso incipit, Si veo a tu mamá , con quel ritornello killer e quella melodia gommosissima, quella che trasuda è una lapalissiana anima pop, che poi percorre tutta l'opera, nelle sue variopinte sfaccettature, sia che si tratti delle atmosfere cloudy della più malinconica Pero ya no o della più aggressiva Está cabrón ser yo, episodio rap impreziosito dalla presenza di AA Anuel dove il flow trascinante vi farà muovere le chiappe. Una menzione doverosa poi va fatta a Safaera, che condensa 30 annni di musica portoricana in 5 minuti scarsi. Un bramo dalle tinte quasi prog nella sua caotica avvenenza.

Il fottuto raggaeton, che è il linguaggio pop di odierno. Quello che, credetemi, vi farà soffocare in un quantitativo di figa ALLUCINANTE.

Musica giovane. Avete perso il contatto o ci siete ancora?

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