Bella copertina. Vistosa, ma di classe, come di classe è la musica che essa introduce. La storia discografica della Cattiva Compagnia è divisa i tre fasi, contraddistinte dai tre grandi cantanti che hanno militato nel gruppo.
La prima fase va dal 1974 al 1982, formazione a quattro con Paul Rodgers al microfono che ha prodotto sei dischi in studio vendutissimi. La seconda è la ripartenza del 1986, in quartetto ma subito dopo in trio senza bassista fisso, altri quattro dischi usciti fino al 1992, a cantare è Brian Howe, notevole interprete AOR.. La terza fase comprende due uscite discografiche in studio nel 1995 e nel 1996 e il disco in recensione è il primo di questi. La formazione è a quintetto (secondo chitarrista aggiunto) ed il cantante si chiama Robert Hart.
Costui è un grandioso clone di Paul Rodgers, e rende quindi la "fase 3" della Bad Company assai somigliante alla "fase 1". Rodgers lo conoscete vero? E' quello finito inopinatamente nei Queen, malgrado abbia stile e timbro diversissimi dal povero Mercury. Non molto famoso in Italia, Rodgers è un'istituzione in GB (cantante preferito del premier britannico) e nel mondo, epitomo di voce rock blues, calda ma grintosa. Robert Hart canta come lui, da dio quindi, con la grande mobilità del vero cantante blues, pieno di sfumature (nuances, dicono gli anglosassoni) da brivido. Entrò nel gruppo dopo un paio di uscite da solista nei primi anni ‘90, discrete ma non imperdibili, qui invece il suo talento si dispiega con grande efficacia, essendo sostenuto da compagni di viaggio che la sanno molto lunga in quanto a perizia compositiva ed esecutiva.
Eh si, perché il cuore della Bad Company, di tutti i dischi del gruppo questo compreso, è quel grande chitarrista che risponde al nome di Mick Ralphs. Appartenente alla specie di quelli che non fanno spettacolo, che non sono belli, che non "indossano" lo strumento in maniera figa, lo si deve apprezzare per quello che NON suona, nel senso che l'efficacia del suo modo di suonare sta nell'essenzialità, nel gusto, nella nitidezza di idee.
Basta avviare il CD per accorgersene dopo pochi secondi. Il pezzo che intitola l'album parte con il riff di acustica in mid-tempo, sul quale dopo poche battute Ralphs innesta una slide sapida, rotonda, sonorissima. Sono quattro note ma sono quelle giuste, lunghissime, calde, danno il benvenuto alla grande voce di Robert Hart ed alla ritmica elettrica per un brano equilibrato, denso, adulto. Il disco si sviluppa per altri dodici brani, ogni tanto c'è una ballata ma le cose più belle sono quelle rock, e si intitolano "Clearwater Highway", "Gimme Gimme", "Down Down Down". Hart sa anche urlare quando serve.
Rockblues quasi puro quindi, ma una punta di pop c'è, e trovo sia la dose giusta, una "spezia" per rendere più appetitoso l'ascolto, a mio giudizio.
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