Premessa: Non sono sicuramente la persona adatta a parlare dell’album in questione ma voglio farlo perché mi piace, nonostante il genere non sia esattamente tra i miei preferiti, ha un valore affettivo importante (parliamo del ’90, ero un pischellino ansioso di novità e ribellioni) ed è obiettivamente uno dei dischi più importanti della scena Hardcore Americana quindi trovo ingiusto che non sia stato ancora recensito qui su DeB (ce ne sarebbe una a dire il vero ma non è più reperibile...): perciò se gli appassionati del genere trovassero improprio il mio scritto li autorizzo ad insultarmi pure ma a chiedersi anche, se quel giorno invece di mettere l’undicesimo 1 ad un doppione, non sarebbe stato meglio mettersi a buttar giù qualche riga… (Si Scherza ovviamente, ma non troppo…)
I Bad Religion sono un po’ snobbati su ste pagine e nessuna delle recensioni presenti abbonda di note biografiche, a questo proposito vi spedisco su sta paginetta di OndaRock che una volta tanto è ben fatta.
Esaurite le formalità passiamo al disco: “Against the Grain” è un lavoro che va valutato secondo due tipi di pensiero, da una parte infatti la vicinanza con “No Control” (1989, album considerato un po’ da tutti il loro capolavoro) si sente in modo abbondante, i prodromi di una “civilizzazione” della band di Gurewitz e Graffin escono spesso allo scoperto, anche se solo in forma di rapidi germogli, più concettuali che sonori.
Non confondetemi però: questo disco è ancora orgogliosamente hardcore (solo guardando il libretto lo si capisce: il rapporto numero di canzoni/durata totale che è 17 per poco meno di 35 minuti è emblematico) anche se agli orizzonti si percepisce una maggior consapevolezza dei nostri verso un modo di concepire la (loro) musica più formale, non voglio usare il termine maturo perché sarebbe intellettualmente presuntuoso e sapete quanto per me conti l’Umiltà: al secondo posto nella (mia) scala di valori dietro solo all’Eleganza, e forse è questa la definizione, anche se vedo già le facce inorridite dei puristi del genere, che meglio si adatta all’evoluzione dei Losangelini.
Un'Eleganza talmente manifesta, anche in mezzo al rumore, da far apparire le veloci sfuriate ritmiche dei 5 (erano in 5 qui vero?) come tempeste formate più da esistenzialismo che non da ribellione: una presa di coscienza che la dialettica è meglio delle barricate? Non lo sapremo mai, ma l'impressione rimane tale.
Per quanto sia difficile crederlo, io continuo a pensare che sia questo disco, e non il precedente, a formare le basi dei lavori successivi di un gruppo mai al di sotto di livelli dignitosi, ldischi come “Generator” (’92) o “The Gray Race” (’96) sono li ad avvalorare la mia ipotesi.
Esplosive ma controllate, quasi ci fosse un tentativo di placare il proprio furore, le tracce presenti propongono vere chicche come l’epica “Modern Man”, la darkeggiante “Faith Alone” e il capolavoro del disco , quella “Flat Earth Society” vera miscela di rabbia giovane (scusate il termine abusato) e affascinante programmaticità (si dice?) nel gestirla.
Velocità e Potenza scandite e dosate in parti eguali che fanno, a mio parere, dei Bad Religion il vero confine tra il Metal e il Punk Americani, tra reminiscenze violente del primo e disordini esistenziali del secondo, il tutto eseguito con abilità tecniche non indifferenti, uno sguardo lontano: nel proprio passato ma dritto dritto nel futuro.
Mo.
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