----- City Pop: La vita nelle linee telefoniche giapponesi.
(Tokyo Blues) Incipit.
Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com'è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano. Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire. Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera, e grandi, di una grandezza esagerata. Con un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un intero inverno, un frigo imponente.
E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso, fuori le stelle che splendono tristi.
L'avvio di Kitchen è uno dei più belli e luminosi che abbia mai letto. Comparso nel 1988, è un romanzo su una post-adolescenza, di gran successo popolare e ciononostante di un fascino che lo confina in una solitudine quasi assoluta. Mikage Sakurai ha perso i genitori molto presto, dopo la morte della sua ultima parente, la nonna, rimane completamente sola e viene accolta nella casa della famiglia Tanabe.
La narrazione è ambientata perlopiù in notturni domestici.
Dentro piante da interno, aggeggi elettronici, una centrifuga, fuori negozi di fiori.
L'una di notte, uno squillo del telefono, il ricevitore nel buio. Mikage associava al telefono la desolazione dell'elenco telefonico stesso. Ma in una scurità futura la voce calma di Yūichi avrebbe attraversato i cavi e superato in lungo il buio di quelle ore. Dormire di notte era la cosa che Mikage temeva di più. Le tenebre del cosmo. Incontrò i suoi occhi nella grande vetrata dove il panorama notturno, velato dalla pioggia, si perdeva nell'oscurità. Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d'animo, gran parte della storia appariva incisa nei sensi, e cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornavano così, all'improvviso. Mikage vide con i suoi occhi quanto fosse immenso il mondo e profonda l'oscurità e l'infinito fascino e solitudine di tutto questo. Mikage voleva solo dormire tranquilla alla luce delle stelle, cullata dal respiro delle piante, le cui sagome davanti alla finestra guardavano dall'alto le strade. Mikage avrebbe voluto essere felice, Mikage avrebbe voluto che tutte le persone che amava potessero essere più felici di quanto non fossero.
Mikage voleva svegliarsi nel bagliore del mattino, in una stanza che fosse piena di luce come un solarium.
Alla fine di un autunno Eriko è morta. Eriko non c'era più, in nessun luogo.
Eriko fu Jūji, in uno stato di esistenza precedente. Un uomo che piangeva non poteva prendere un taxi, fu una fregatura nascere ed essere uomo. Nel suo demi-monde, impossibile dimenticare la bellezza nottivaga del suo pianto. Mikage cominciò un altro giorno di realtà, catapultata in un tempo pallido e immobile.
Pensare a come la vita si ripeteva la faceva rabbrividire. Il pensiero che ci sarebbe stato un domani, e poi un dopodomani, e poi una settimana non le era mai sembrato così insopportabile. Era come se nelle persone che alle persone erano vicine ci fosse sempre la morte. Le persone che aveva amato se ne erano andate oppure erano ancora con lei, ma non era la stessa cosa. Presenze così vistosamente assenti da brillare come insegne al neon. Alberi che crollavano, ghiacci che si scioglievano. Una strana sensazione di vuoto. Molti i giorni in cui neanche l'amore poteva aiutare. Un giorno o l'altro tutti si sarebbero persi nelle tenebre del tempo e sarebbero scomparsi, e anche quell'altro si era fatto vecchio, pensò commossa.
Era solo la sua immaginazione, e l'immaginazione a volte era peggio della realtà.
Una pianta di ananas. In quel mondo non c'era posto per le cose tristi, nessun posto.
Le file di finestre nell'alto edificio sospese nella luce azzurra. Gli ascensori salivano e scendevano, brillavano in silenzio come se stessero per dissolversi nell'oscurità della sera. Mikage si chiedeva quale fosse la finestra di Yūichi fra tante altre tutte uguali. Lontano nel cielo stava sospeso un dirigibile. Chissà in quale altrove.
Al semaforo la gente che passava davanti al parabrezza brillava alla luce dei fari. Le cabine telefoniche nelle strade della sera tarda sembravano splendenti, luccicanti. La notte visitava le loro stanze, Mikage guardava dalla tv a basso volume un programma di cucina che aveva registrato. Un'altra volta le ombre erano scese, uguali su tutta la terra, una nottata in cui ognuno lottava con un sonno torpido e irrequieto. Tutta la casa, in silenzio immobile, stava ad ascoltare l'invisibile che c'era. In quella notte trasparente che le pareva quasi di poter udire il suono lontano delle stelle che attraversavano il cielo, insalata, pasticcio, stufato, crocchette, tōfu fritto, verdure bollite con soia, maiale in agrodolce, tortelli cinesi. Omelette, tenpura, sashimi, gamberetti, cinghiale. Tsukimi udon. Katsudon. Sotto la lampada di quella piccola stanza sospesa nell'oscurità, avvertendo la presenza del paesaggio notturno dietro le tende. La nostalgia ha una dimensione utopica che sfrutta una capacità fondamentale e indispensabile alla mente umana, quella di sapersi proiettare altrove.
Kitchen è un romanzo breve di poco meno di cento pagine che genera visioni fantasmatiche, andrebbe letto nottetempo. Dentro, certi argomenti trattati molto prima che solitudine urbana di Tokyo, travestitismo, disforia di genere, conseguente transizione mtf, qui percepita anche come necessità di complementarità, felicità, amore, morte, spiriti del trauma, effetti del lutto affrontati da giovani, famiglia come scelta, diventassero temi celebri resi merce di spettacoli televisivi e televendite.
Banana Yoshimoto, Mahoko si è scelta un nom de plume incantevole.
Confluenza incorporea in un ristorante di Napoli, Keys to Shibuya - City Zen.
(Foto scattata alle ore 12:24, il 13 Novembre 2008). Kitchen sarà il ricordo di un tempo surreale.
La cucina è uno spazio minimale, la cucina era già uno spazio-tempo liminale. Un'esperienza sensoriale immersiva, extracorporea. È notte fonda, fuori è buio e silenzioso, niente si muove. Quiet Life.
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(Kitchin 3) Blue hour.
L'ora blu è quel passaggio tra la notte e l'alba quando tutto tace. Non è un'ora, ma solo un segmento di tempo breve. Un momento prima dell'aurora, c'è una pausa di silenzio. I volatori notturni già dormono, quelli diurni non sono ancora svegli. L'unico momento in cui si può avere l'impressione che la natura abbia cessato di respirare.
Il cielo si spostava lento, Satsuki aveva scoperto solo da poco che nell'azzurro dell'alba tutte le cose apparivano così, come purificate nell'aria risuonante di inni. La sensazione era che la notte precedente fosse stata solo un sogno. Era successo già tanto tempo prima, avevano già parlato in sogno, aveva sentito le loro voci riecheggiare in una casa vuota nel silenzio assoluto delle prime ore antimeridiane. Satsuki lo rivide in un altro sogno ancora, in una notte che era reale. Pregò di ricordare tutto di quell'opportunità, ma nel susseguirsi dei sonni e dei risvegli che sarebbero venuti anche quella congiuntura era destinata a diventare un sogno. Urara, affondata nel ‘fenomeno Tanabata’, una corrispondenza tra i pensieri del mondo dei morti e il dolore del mondo dei vivi. Qualcosa che molte persone non riescono a vedere, perché semplicemente non possono.
七夕, la settima notte. Vega e Altair separati dal fiume del cielo, la Via Lactea. Il canto del rimpianto eterno.
Quel qualcosa sarebbe passato e fuggito via, e infatti poi se ne andò, mescolandosi alle onde di persone che riempivano le strade del mattino. Non era la sua coscienza a disconnettersi, ma la trama della realtà tangibile a contenere buchi. Urara fu il flusso del tempo che esisteva guardando il fiume che scorreva. Exit: Plenilunio.
Kitchen/Moonlight Shadow sono la casa, un portale domestico, un aliasing in un non-luogo.
La casa è un explicit. La cucina è una stanza illuminata al 9° piano sospesa nel silenzio, nel vuoto della notte. Uno stato di flusso ipnagogico, uno sfasamento temporale.
Un senso di sospensione che consente l'apertura di una soglia domestica e il generarsi di una zona intermedia.
Una beatitudine, un luogo interiore, un panorama della coscienza. Atarashī Hi No Tanjō. Hitoshi. Still Life.
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