È una presenza rara, il sassofono, nella musica elettronica. Lo si sente alla fine di "Rendez-Vous" di Jean Michel Jarre, o nei Tangerine Dream primi anni '90, ma in generale è difficile trovarne delle tracce. Una di queste è in "Celestine", secondo brano nella scaletta di "Big Men Cry", album del 1997 a firma di Toby Marks alias Banco de Gaia. Il brano è introdotto dal suono delle campane (sia pure campionate) e poco dopo una voce maschile intona una cantilena: l'andamento è lento, molto rilassante, ma eccolo: a 3'40" dall'inizio, il timbro caldo del sax baritono (suonato da Dick Parry) che si produce in un assolo sulla base ritmica sottostante; più avanti torna la voce col suo refrain, finché verso la conclusione il tempo accelera per ospitare un nuovo assolo, questa volta di sax tenore (suonato da Matt Jenkins).
Molto densa di avvenimenti, come sempre, la musica di Banco de Gaia, tanto che nei 68 minuti di questo terzo album di studio si incontrano idee, spunti musicali, atmosfere di multiforme ispirazione. Un'elettronica che suona stranamente familiare perché molto piacevole nelle sonorità e gradevole all'ascolto, ma a ogni istante essa ci ricorda la sua natura sintetica, di autentica interfaccia tra il luccichio dei suoi elegantissimi suoni e le profondità (le nostre) nelle quali essa ci sollecita a guardare. "Drunk As A Monk" è uno degli episodi più riusciti in questo senso, un brano introdotto da percussioni tribali con voci maschili che si agitano sullo sfondo; passano 4 minuti prima che entri la linea di basso accompagnata da un beat molto potente e da distese linee melodiche che rendono epiche le sonorità del pezzo.
Così scorre, fluida e ipnotica, la musica di "Big Men Cry", ora posseduta dall'irrompere selvaggio delle percussioni, ora immalinconita da tenui melodie come accade nel brano che dà il titolo all'album. Mentre sono molto d'atmosfera le due ultime tracce, "One Billion Miles Out" e "Starstation Earth" (mezz'ora di musica, a ben vedere...), con l'idea dello spazio celeste presente fin nei titoli: quasi del tutto prive di impulso ritmico ma piene di lontani segnali radio e di voci distorte che lanciano i loro messaggi inascoltati. Degna chiusura tra l'onirico e il visionario per un eccellente lavoro.
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