I Band of Horses sanno poche cose ma le sanno fare alla perfezione. Sono quattro ragazzi americani di Seattle, ma la loro provenienza geografica non dà alcun indizio utile al fine di inquadrarne il genere musicale.

Il loro album d'esordio, "Everything All The Time",  è un album Rock che si inserisce in quel filone New Wave anni 80 dei primi U2 o dei Duran Duran, che ha portato non poca fortuna ad alcuni delle migliori band indie-rock degli ultimi anni come, i The Killers o gli Arcade Fire.

La formula delle canzoni è quella classica dei brani rock, con un arpeggio iniziale molto orecchiabile e melodico di chitarra che accompagna la bellissima voce trasognante di Bridwell, fino all'inserirsi della base ritmica sempre molto precisa e incisiva, con dei ritmi quasi mai veloci ma che tendono a centralizzare l'attenzione sulla melodia dei brani. Gli arrangiamenti sono dunque poco ricercati, sia nella struttura che nella scelta degli strumenti; le melodie, sorrette dalle chitarre elettriche e acustiche, creano delle atmosfere incantate che portano l'ascoltatore non solo ad ascoltare il disco ma quasi a intravederne le immagini.

L'album inizia con un ottima introduzione: "The First Song" infatti, già dal titolo, sembra essere costruita appunto per trascinarti in modo magnetico nell'atmosfera onirica e armoniosa dell'album. Già dalla seconda canzone si comincia a far sul serio, si incattiviscono i ritmi e l'elettricità; "Wicked Gil" infatti si avvicina molto al brit-rock dei Franz Ferdinand. Il brano migliore arriva alla quarta traccia, "The Funeral" è un eccellente brano pop-rock con la voce incantevole di Bridwell che vola nell'aria, sorretto magistralmente dalle armoniche delle chitarre. Assolutamente degne di nota la magistrale ballata acustica "Part One" e "The Great Salt Lake", che ricorda le migliori composizioni degli Arcade Fire.

L'unica canzone in cui Bridwell e soci si discostano dalla formula descritta precedentemente, arriva quasi alla fine dell'album con "Monster", che parte come una ballata country-folk, in cui la voce è accompagnata dal banjo, per poi acquisire una quantità sempre maggiore di colori con l'inserirsi della chitarra acustica, poi della chitarra elettrica, il basso e la batteria che imbastiscono un preziosissimo e emozionante tappeto armonico. Spettacolare!

Il disco si conclude con un breve e grazioso pezzo acustico, che ricorda i Kings of Convenience nella struttura dei cori.

Le note negative più evidenti dell'album sono, come detto, la scarsa originalità nella ricerca degli arrangiamenti. Inoltre le singole canzoni sono quasi sempre incentrate su un singolo motivo che viene ripetuto in modo, a mio avviso, ridondante per l'intera durata del brano, senza alcun cambio melodico o ritmico. Tali carenze portano, specialmente nella parte centrale dell'album, ad una ripetitività dei toni e dei ritmi.

In conclusione "Everything All The Time", malgrado alcuni angoli da smussare quasi fisiologici per un'opera prima, mostra un potenziale formidabile per la Banda di Cavalli, che sa come emozionare chi li ascolta; e per i quali prevedo un miglioramento esponenziale nei loro prossimi lavori.

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