Ma fate la fila agli altri lati, qui non c'è spazio, mi manca l'aria!

La signora meneghina titolare di uno dei tanti chioschi ai lati dell'area concerti si lagna dietro alla cassa traboccante di banconote di ogni taglio. Ce n'è di gente al Rock in Idrho (quest'anno con l'acca); credo che l'organizzazione possa parlare di successo. E in mezzo alla settimana poi! Il sole ci assiste, baciandoci tutto il tempo, anche se quando aprono i cancelli – un'ora e mezzo dopo il previsto – un po' di nubi le avresti gradite. Già la strada da fare prima di arrivare all'area preposta è troppa: la fiera va aggirata completamente lungo il perimetro per arrivare al luogo del dunque. La fiera è un complesso enorme di strutture e padiglioni, e l'area nord è quella in cui si tiene il concerto. A sera sarà stipata di gente da ogni dove.

Le prime note risuonano verso le tre, quando due act non annunciati (forse vincitori di qualche contest, non so, però stranamente i frontman non si presentano) scaldano l'atmosfera. Alle quattro meno dieci, le prime star della giornata: i Ministri salgono sul palco e l'energia si fa già diversa, lo senti nei volumi. Tra le canzoni “Mangio la terra”, “Noi fuori”, la bella “Tempi bui” e chiusura con “Abituarsi alla fine”. Un quarto d'ora di pausa e si odono suoni irlandesi nel sound check.

Chi suona adesso?”

“Boh, i Froggin' qualcosa...”

“E chi so'?”

“Roba tranquilla.”

Pare vero. Un mattacchione incravattato chiamato Dave King ci saluta dal palco e i suoi attaccano a suonare. Flogging Molly: suoni celtici, ritmi punk e pogo sfrenato per quello che a tutti gli effetti è irish core, un incrocio tra Gogol Bordello e Pogues. Il delirio. Non li avevo mai sentiti nominare, ma per tre quarti d'ora incendiano l'aria facendo saltare i presenti e dando all'evento la prima botta di adrenalina giusta.

Da questo punto di vista invece la mezz'ora dei successivi Band of Horses è la più loffia e fuori posto. Forse l'unica nota stonata della lineup (ma sono amici tuoi, Dave?) per quanto questa onesta band post grunge suoni anche bene manca totalmente di presenza scenica.

Ore 18.40, l'area è ormai un formicaio e una brezza estiva non fa a tempo ad asciugarci il sudore lasciato dalla performance dei celtico-californiani che entrano in scena i The Hives, from Sweden. Manco a dirlo il loro garage punk allegro rianima la folla e tutti di nuovo a ballare incitati da Pelle Almqvist, presentatosi sul palco in tuba e smocking. Ottimi intrattenitori, peccato la scenografia (le lettere “H-I-V-E-S” modello scritta “hollywood”) non venga presa a pretesto per alcun gioco di luce.

Dopo di loro devo prendere un attimo fiato, alché mi vado a prendere una birra (e a strizzare un po' la maglietta) per cui poco so dire dei Social Distortion, eccetto che suonano un'ora e che tanti dei presenti – soprattutto tra i più “maturi” – sono lì per loro. Mi dicono però che sono stati all'altezza della loro fama. Torniamo in mezzo alla calca apposta per Iggy Pop and the Stooges. Il sole è ormai quasi tramontato, e la densità tra il pubblico è di molto aumentata. Dopo parecchio traffico di tecnici sul palco, alle nove e un quarto tra luci ecco che sbuca l'Iguana. Subito a tremila, si dimena sul palco mentre gli Stooges suonano “Raw Power”. Ragazzi! Trecento anni in cinque e suonano come ventenni, la loro energia si propaga dal palco ipnotizzandoci. Iggy si muove come un tarantolato, ci saluta alzando il dito medio, canta “Search and Destroy” e invita alcuni fan sopra il palco, poi si fa la doccia, sfonda l'asta del microfono e accenna uno stage diving sulle note di “I wanna be your dog”. Poi roteando il microfono sopra la testa tenta di uccidere la sua band e parte del pubblico delle prime file. Uno spettacolo! Quasi un'ora di show in puro stile punk, alla fine è impossibile non entusiasmarsi. “I can tell you Arrivederci or I can tell you Kiss my ass!” e conclude lo show con “No Fun”. Iggy è l'ignoranza fatta musica, menzione d'onore per lui. Da vedere dal vivo almeno una volta nella vita.

Dopo di ciò, una frotta di gente si appresta a preparare il palco ai re della serata. Puntuali alle 22.30 calano le luci e si ode l'intro di “Bridge Burning”. Sono a venti metri dal palco, poco dietro l'area riservata, ed è impossibile muoversi. Non si può nemmeno pogare, è più come trovarsi in mezzo ad un mare in tempesta: la massa arriva addosso da ogni dove senza darti quasi tempo di respirare, e ti spinge contemporaneamente in ogni direzione. A un certo punto temo di ritrovarmi senza calzoni. “Rope” ci fomenta ancora di più, e dopo arriva il saluto di Dave, sul palco in camicia nera, i Foos in formazione a sei con un tastierista. Seguono “The Pretender”, “My Hero”, “Learn to Fly” e poi si scatena il panico su “White Limo” (e lì mi sposto per forza).

Dave e gli altri sono in gran forma: lui è un perfetto animale da palco. La voce è molto migliore di tanti live che ho sentito su youtube, e le canzoni sono eseguite alla perfezione. C'è tanto di repertorio “storico” (“Breakout”, “I'll stick around, “Monkey Wrench”, “Generator”) e ci regalano anche una jam su “Stacked Actors”. Non credevo fossero così bravi dal vivo, mi sono ricreduto su tutti, in particolar modo su Taylor Hawkins, una vera macchina: non solo potenza ma anche molta precisione nel tenere il ritmo. E in più tanto, tanto calore nell'esibizione, vedasi i siparietti con Grohl durante “Young Man Blues” (che canzone appropriata allo scenario contemporaneo italiano!) A una certa il biondo batterista canta “Cold day in the sun”; certo la voce è quello che è ma gli si perdona.

Il picco emotivo della serata ce la regala però Grohl restando sul palco per una versione semi-acustica di “Times like These”, raggiunto infine dal resto della band. “We'll play until they tell us to go away.” promette Dave, e lo show prosegue, fino a che, dopo due ore di spettacolo, ci saluta sulle note di “Everlong”. Eccolo il rock oggi. Quello vero, potente e diretto, che ti fa (e)saltare e ti fa scorrere il sangue nelle vene, ti fa graffiare dal sudore della folla mentre ne sopporti l'onda restituendo colpo su colpo. Mi ricordo quando non molti anni fa se parlavi dei Foo Fighters c'era ancora chi storceva il naso ricordando Grohl come “ah, il batterista dei Nirvana!” e diceva che non sarebbero mai stati un gruppo da inni da stadio. Vaglielo a dire oggi, ai trentamila che mercoledì urlavano:

“Done done and onto the next one done I'm done and I'm onto the next...”

Setlist FF:

Bridge is burning

Rope

The Pretender

My Hero

Learn to Fly

White Limo

Arlandria

Breakout

Cold day in the sun

I'll stick around

Stacked Actors

Walk

Monkey Wrench

Let it Die

Generator

Times like These

Young Man Blues

Best of You

Skin and Bones

All my Life

Tie Your Mother Down

Everlong

(Foto di Laura Colarieti)

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