Trovarsi a passare dall’anonimato totale alle luci della ribalta come cantante di una delle formazioni heavy metal più note dev’essere una fortuna mica male. Trovarsi nel giro di un paio di anni fatti di insulti, litigi e incomprensioni, cacciato dalla suddetta formazione dev’essere un duro colpo. Tornarsene a casa con le pive nel sacco, mettere su una propria band, pubblicare un ottimo album di hard rock e vederlo passare totalmente inosservato dev’essere infine il colpo di grazia decisivo per la propria carriera.

Tale concentrato di sfiga non è nient’altro che la vita nel periodo ’88-’92 di mister David Reece, biondo singer americano che si trova a dover sostituire nientemeno che Udo Dirkschneider al microfono dei teutonici Accept con cui pubblicherà “Eat the Heat”, disco il cui flop verrà addebitato quasi unicamente al nuovo arrivato e segnerà la momentanea fine del gruppo. Dopo un tour infernale (si narra che le tensioni all’interno della band fossero tali che, nel backstage di una data, ci fu un “amichevole scambio di opinioni” fra lo stesso Reece e il bassista Peter Baltes, con conseguente annullamento delle rimanenti date), il buon David se ne torna in America dove decide di metter in piedi una nuova band, reclutando Ian Mayo al basso e Jackie Ramos alla batteria (la sezione ritmica degli appena sciolti Hericane Alice), completandola con Curt Mitchell e John Kirk alle chitarre e dandole il curioso nome di Bangalore Choir.

“On Target”, per lungo tempo primo ed unico lavoro della band, è un concentrato di hard rock ora graffiante ora melodico, pieno di ritornelli immediati e cori da stadio, riff efficaci ed assoli melodici e ovviamente le immancabili ballate di ordinanza. Niente meno che un perfetto concentrato di quello che doveva essere il rock anni ’80, ottimamente suonato e prodotto, giunto però fatalmente in ritardo: neanche un paio di nomi noti tra le collaborazioni (Bon Jovi e il suo fido Aldo Nova) salveranno questo lavoro dall’anonimato quasi totale. Peccato, perché di pezzi validi e ben suonati il disco è pieno: dall’opener “Angel in Black” (scritta a quattro mani con Steve Plunkett, che poi la re-inciderà con i suoi Autograph) alla melodica “Loaded Gun”, passando poi per la dolce ballad “Hold on to You”, il rock ruvido di “Freight Train Rollin’” e l’anthemica “If the Good Die Young (We’ll Live Forever)” -che fa già intuire dal titolo le sue intenzioni di esaltante inno- si giunge alla fine con la trascinante “Just One Night”, dopo 40 minuti scarsi accompagnati dalla calda voce di Reece, decisamente più a suo agio nelle vesti di emulo di Coverdale che non negli scomodi panni del sostituto del colonnello Udo.

Una piccola perla, spazzata via dall’impeto del movimento grunge che proprio in quegli anni stava per raggiungere il suo apice, ma meritevole di essere riscoperta, anche in virtù del fatto che la band è tornata in pista (sebbene ampiamente rimaneggiata: di questo “On Target” rimangono infatti solo Reece e Mitchell) con “Cadence”, nuovo lavoro pubblicato sotto la tentacolare Frontiers Records, label specializzata nel ridare una seconda vita a chi, come i Bangalore Choir, ha raccolto molto meno di quanto le proprie capacità meritavano.

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