È piuttosto improbabile che gli appassionati di metal non abbiano mai sentito parlare di Thomas Forsberg; se poi a questo nome aggiungessimo anche l’appellativo Quorthon, ecco che il “mai sentito” diventerebbe un concetto impossibile da concepire.

Polistumentista, autore e compositore, Quorthon diede anima e corpo a Bathory, il suo più celebre progetto musicale, oggi divenuto una delle più importanti realtà della musica scandinava. Fu fra i capostipiti del metallo estremo e il padre fondatore di un genere basato sulla fusione tra epic e black metal: il viking. Coi Bathory, Quorthon poté così dimostrare al mondo le sue poliedriche doti artistiche: da poeta invasato a vichingo furente, fino a diventare un asceta pagano nel periodo in cui compose le sue opere più profonde, prima del compianto decesso, che lo consegnò alla storia come un moderno e memorabile cantore della tradizione scandinava.

Analizziamo ora il lavoro più discusso del musicista svedese, l’ambiguo Destroyer of Words dal quale nacquero i pensieri più goliardici, sarcastici, grotteschi (e talvolta addirittura estatici), mai concepiti da critica e fans, dopo l’uscita di un disco con impresso il logo Bathory in copertina.

Pubblicato nel 2001, Destroyer of Worlds nacque dopo un travagliato processo di lavorazione durante il quale Quorthon venne incalzato dai discografici della Black Mark che chiedevano in continuazione a che punto fosse la stesura dei pezzi, impedendo così al musicista di guadagnare la quiete che gli avrebbe permesso di comporre con maggior lucidità. Come se non bastasse, Quorthon dovette subire anche la pressione dei fan, i quali non seppero accettare le scelte stilistiche del nuovo progetto targato Bathory. In un comunicato stampa, il musicista dichiarò infatti che per Destroyer of Worlds, stava preparando dei pezzi più prog-oriented, al fine di rivoluzionare la sua proposta musicale. Ma l’idea fu rigettata dal pubblico, che acclamava collettivamente un ritorno agli antichi fasti del black e del viking, cosicché Quorthon fu costretto ad accantonare il progetto per preparare una serie di pezzi che includessero alternativamente tutte le sfaccettature della sua musica. Per questo nacque un album disorganico e confusionario, con sbalzi stilistici talmente bruschi da farlo sembrare una compilation, piuttosto che una raccolta d’inediti.

Cantato e suonato dal solo Quorthon (Bathory non era più una band da diversi anni), Destroyer of Worlds, ricicla il materiale degli anonimi Requiem e Octagon (ossia gl’album più thrash della one-man-band scandinava), ma propone anche alcuni pezzi ispirati al periodo viking, per un risultato che dona altalenanti emozioni: momenti di estro musicale e di raffinato lirismo nordico si alternano a magri episodi d’inossidabilità metallica dall’inefficace fervore, unendo il tutto a qualche isolato episodio di curiosa sperimentazione sonora. Il disco dunque è in grado di mostrare in simultanea il migliore/peggiore Thomas Forsberg che possiate immaginare.

Tralasciando i pezzi inutili (fra i quali spicca però il discreto e “tamarro” heavy/thrash di Death from Above), l’album cela una serie di canzoni davvero notevoli. È il caso dell’opener Lake of Fire, o della struggente Ode (entrambe riportano ai tempi dell’immortale Twilight of the Gods), quest’ultima poi è qualcosa d’inconcepibile dal punto di vista emozionale, con Quorthon che sceglie un canto in clean dal tono altisonante e disperato che esplode poi in un finale in crescendo, dove la chitarra acustica (posta costantemente a fianco dei riff elettrici), intessa un’armonia che sembra riprodurre il suono di un mesto carillon. Ottima anche Pestilence, costruita su potenti strofe dalle tinte doom, arricchite da sublimi stacchi epici e da una soave outro acustica. La title-track è invece un brano che porta una certa freschezza nella musica di Quorthon: si apre con massicci riff ed un drumming roboante, poi un bridge dalla melodia orientale, e un refrain che esplode in tutta la sua epica crudezza. Stesso discorso per il potente thrash di White Bones, pezzo infiammato dalle voci sporche, poi smorzate in un outro corale dalle tinte prog. Chiude il tutto la suite Day of Wrath, brano viking che sembra rievocare la tenebra nordica di Blood Fire Death.

Destroyer of World presenta almeno quaranta minuti di ottimo materiale sul quale riflettere. Ma i pezzi brutti ci sono, e non possono certo essere ignorati. Un disco di una stranezza inaudita, capace di alternare possenti capolavori a laidezze incredibili. Dopo questo passo così azzardato, dell’ottobre del 2001, Quorthon presentò tra il 2002/2003 la saga di Nordland, il suo inestimabile testamento musicale, prima che un infarto al miocardio troncasse per sempre la sua straordinaria esistenza.

Federico “Dragonstar” Passarella.

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