Gelido. Il canto del Nord, un valzer elettrico di luci fioche tra i pini, un gigante dal capo coperto di muschio, un sole lontano, un bagliore tra brughiere sonnolente e sepolte sotto centimetri di neve farinosa.

Tomas "Quorthon" Forsberg dipinge incessante le sue nenie d'acciaio, si arma di una semplicitá esasperante per scrivere sei (o nove?) sinfonie che lasciano tremanti ed ansiosi di valicare i confini dell'immaginazione, per addentrarsi nei sentieri tortuosi di boscaglie colme di creature misteriose create dal mito di un'era intrisa di tristi ricordi ed epicitá drammaticamente perduta.

Le chitarre marciano acide e pachidermiche, portano alla mente battaglie tra Vichinghi e Bjarmani, evocano visioni di conquiste, di abiti finementi adornati, di pellicce e lunghe chiome, di scontri atroci all'ombra di fiordi e montagne. Il Settentrione e le sue atmosfere brumose vive, respira, grida e gode della capacitá unica di Forsberg di musicarlo e di rendere la sua purezza cosí tangibile da traformare questa perla in un viaggio irripetibile.

Nel cantico dei Variaghi "Blood And Iron", magnificamente aperto da suoni acustici vagamente celtici e sognanti, si ammira la muscolatura  metallica di riffs lenti e fangosi, di linee vocali solitarie, narrazione di periodi distanti migliaia di anni. L'apporto ritmico é inciso nella roccia e nel bronzo, crolla sui solos ottantiani dello svedese per un finale ove il chorus apre una voragine di malinconia e  lacrime incessanti.

Quorthon grida di marciare sotto le rune, di morire sotto le rune nella traccia successiva e lo fá con un impeto ed una passionalitá che lasciano tremanti, attoniti. Cori profondi e sepolcrali rimandano a riti funerari persi nel vuoto delle memorie, la sei corde soffia con la forza del Blizzard, melodie gonfie e battagliere che risentiremo negli orgogliosi seguaci Immortal del tremendo "At The Heart Of Winter" .

"Bond Of Blood" mette paura, gorgoglia gotica ed infida, i suoi riffs catacombali ci portano tra querce e templi abbandonati. Teatrale la voce del bardo di Stoccolma (R.I.P.) ci trascina via in un uragano di solos nostalgici e percussioni tonanti che affondano nei bagliori acustici di albe scandinave dal fascino conturbante.

"Hammerheart" chiude  trionfante tra folate di musica classica e vocals sontuose, un paesaggio sonoro trepidante, emotivo che fá sputar fuori la passione pú verace ed incontenibile, l'urlo liberatorio che invece del metal sporco ed ossessivo si serve di armi orchestrali ed eteree visioni di tramonti dolorosi.

Un'opera senza tempo, che non soffre del cambiar delle mode, che non si cura di gruppuscoli ed etichette, che celebra il culto del Nord con vigore e semplicitá come agli uomini del Settentrione si addice.

"Only they who walks the clouds knows

 For how long the wind blows

And the sky is blue above us.."

 

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