Estremizzazione grottesca del limbo, con i suoi piccoli spettri a pregare per un filo di luce, in un'oscurità evanescente e permeante. Farfalleschi squarci di apnee ed embolie di cristallo. Risalire troppo in fretta dall'abisso di un oceano immenso, mentre altrove l'apocalisse è in procinto.
Un viaggio, quello dei Baths, che evoca ghiacciai in erosione, aurore boleari appena accennate, ma dai colori accecanti, tramonti suicidi che si macchiano del sangue del crepuscolo. Un viaggio semplice, senza troppe pretese, eppure devastante. Elettronica gentile e sghemba, quasi imperfetta, quasi in reverse che risveglia gli intimi odivaghi carnali di chi l'ascolta. Come un film d'avanguardia comprensibile da tutti, come un porno senza sesso, come uno sguardo infantile che vede il mondo per la prima volta.
È un conciliante rincorrersi di piccoli battiti e voci timide, che sussurrano con pudore, ma con la voglia di essere aggressive, di aggredire e di smembrare. Una canzone come "Lovesick Synthetic" diventa meravigliosamente indelebile, nonostante possa, inizialmente, passare per riempitivo. è il miracolo della musica: anche quando semplice, anche quando banale, può riuscire a scatenare fiumi inarrestabili. Ofelia e il suo ultimo orgasmo.
E poi c'è "Seaside Town", canzone apparentemente inutile, ma che si pone come il perfetto equilibrio tra dream pop e witch-house, evocando un trauma d'infanzia mai avvenuto. Corse sotto la grandine, temporali in avvicinamento. è lo spettacolo scenico di un sipario strappato. è il vertice del nulla, il fondale marino che affoga. "Somerset" nel suo continuo ed infallibile rincorrersi di voci, sussurra epitaffi nel vuoto, marchia la carne a fuoco.
È musica impalpabile, quella dei Baths, in grado di scatenare sogni ad occhi aperti talmente apocalittici da cancellare il mondo circostante. Un viaggio cristallino, inutile da descrivere perchè lo si deve vivere. Lasciatevi trasportare. Selvaggiamente, ma in silenzio. Senza meta.
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