E' davvero difficile riuscire a tradurre in parole la vera e propria esperienza sonora che si prova ascoltando questo album, ma ci proverò lo stesso. Per cominciare una menzione meritano sicuramente i componenti della band: i Battles possono tranquillamente essere definiti un super-gruppo, in cui militano 4 musicisti prestigiosi e pieni di talento, a partire dal leader e chitarrista Ian Williams (ex Don Caballero e Storm & Stress), da più parti considerato il più geniale chitarrista degli ultimi 10 anni, ed erede del grande Robert Fripp, affiancato dal cantante e polistrumentista Tyonday Braxton (figlio del famosissimo jazzista d'avanguardia Anthony), dal chitarrista e bassista David Konopka (ex Lynx) e dal batterista John Stanier (ex Helmet e Tomahawk).
Cosa poteva uscire dall'incontro di 4 musicisti così diversi per trascorsi musicali ed età? Beh, la risposta è abbastanza problematica: ciò che i Battles suonano è una musica unica e inimitabile, che non potrete trovare in nessun'altra formazione (e da questo punto di vista sono sicuramente gli eredi di Residents e Can). La base di partenza è sicuramente il math-rock, da cui viene ripreso il rigore strumentale, a cui però si aggiunge un'evidente influenza progressiva, riletta ovviamente in chiave post-rock: questo si avverte nella tendenza a creare brani complessi e arzigogolati ("Tonto" e "Rainbow"), molto ostici a chi non ha un minimo di predisposizione. A tutto questo si aggiunge una dose abbondante di loop elettronici e di vocoder: proprio questo strumento assume un ruolo fondamentale, poiché in quasi tutto l'album le voce di Tyonday è filtrata (avete presente cosa succede alla vostra voce se inspirate dell'elio? Beh, l'idea è quella) ed usata come un vero e proprio strumento, rendendo sorprendentemente molto giocosa l'atmosfera generale, in brani come le brevi "Ddiamondd" e "Leyendecker". Il punto di congiunzione tra queste 2 anime è l'iniziale "Race: In": su una base di batteria e chitarra molto post-rock si arrampicano fischi filtrati e uno straniante xilofono...
Il singolo scelto per promuovere l'album è "Atlas", forse il punto più alto del lavoro: una cavalcata robotica costruita su un ritmo di batteria ossessivo e cadenzato, ma allo stesso dall'irresistibile groove - che vi renderà impossibile non portare il tempo con una parte del corpo - sui quali Tyonday intona una filastrocca al limite tra demenza pura e parodia.
In conclusione sicuramente uno degli album più originali di questo anno. Se siete tra coloro che cercano nuovi sound, "Mirrored" è vivamente consigliato.
VOTO = 8.5
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