Chi ha ucciso il Sig. Chiaro di Luna ?
Peter Murphy rappresenta l’aspetto più stravagante e teatrale dell’intero movimento darkwave. Fu sulla sua scia, forse, che gli adepti di allora iniziarono a vestirsi di nero, a truccarsi e cotonarsi i capelli, stereotipando il genere agli occhi delle gente. Ma l’influenza del principe nero non si fermò sul piano squisitamente estetico. Egli diede anche un impulso significativo a estremizzare ciò che caratterizzava, sotto alcuni aspetti, il pensiero del movimento, con tutto il carico di depressione lirica e poesia ermeticamente decadente.
Della discografia dei Bauhaus (nome che si rifà alla celeberrima scuola d’arte tedesca chiusa dai nazisti), quest’ ultimo lavoro in studio “Burning From The Inside” rappresenta, forse l’opera meno famosa ed apprezzata del combo di Northampton, ma, non per questo, la meno riuscita. Il disco in questione è sicuramente il più strumentale e sperimentale realizzato.
Murphy, infatti, per problemi di salute, partecipò in misura molto inferiore alla sua registrazione rispetto agli albums precedenti che erano stati, invece, costruiti intorno alla sua figura e questo fece in modo che gli altri componenti avessero più libertà di espressione. Forse è proprio per questo che “Burning From The Inside” godette e gode tuttora di una minore considerazione rispetto ai suoi predecessori.
Personalmente, invece, trovo quest’album più affascinante degli altri, anche se, ovviamente, meno seminale. Per uno scopritore che si è addentrato abbastanza recentemente nei meandri oscuri e drammatici del filone gothic e dark, infatti, non c’è niente di meglio che lasciarsi trasportare dalla malinconia e leggiadria di ballate come la struggente “King Volcano”, con la sua danza rituale, la toccante e penetrante “Who Killed Mr. Moonlight”, in cui la voce di Murphy ci accompagna dolcemente verso l’oblio, la psichedelica “Slice of Life”, la sospirata “Kingdom’s Coming”, e la mia preferita, “Hope”, col suo ossessivo ed ipnotico ritornello.
Sia chiaro, pezzi come l’opener “She’s in Parties”, con il basso di David Jay pompato a mille, la ritmata cavalcata di “Antonin Artaud”, o i nove minuti di sofferenza sonora della title track, reggono alla grande il confronto col passato ma, gli episodi, a mio parere, più intensi e riusciti dell’opera sono da ricercare, come su detto, proprio nelle tracks più lente e melodiche.
Arrivati a questo punto non ci rimane che rispondere alla domanda iniziale. Bè, non può essere stato che proprio Peter Murphy ad oscurare il chiaro di luna, facendoci sprofondare nel buio della notte più profonda.
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