"Mask" si propone come un disco meno allucinato di "In The Flat Field", meno eccessivo e meno urticante, tuttavia ciò che perde in impatto lo acquista in fantasia (lugubre) ed originalità. Pur contenendo alcuni classici del macabro che resero liete le schiere goth dell'epoca, Ash e soci (su tutti il batterista Kevin Haskins) di sovente intessono trame sonore decisamente calde, tribali.
La batteria con l'uso massiccio di tempi reggae e ska, fusa con il canto vampirico di Murphy, crea un effetto magico, il cui unico limite è lo sfociare talvolta nel grottesco, e conoscendo i nostri non possiamo escludere una velata ironia a giustificazione. L'inizio sparato di "Hair of The Dog" inganna, essendo un brano una delle classiche mazzate che furono di "In the Flat Field", lasciando presagire un sequel. La successiva "Passion of Lovers", brano tanto semplice quanto gradevole, ci incanala in una musica meno stordente ma ugualmente toccante, decisamente più viscerale. È il classico chart crasher, e ben presto si rivela uno degli inni Bauhaus. Lo ska malato di "Of Lilies and Remains" inaugura il mood del disco, "Dancing" con una parte di sassofono suonata da Murphy lo contrappunta con un ritmo da tornado.
"Hollow Hills" è il primo capolavoro del disco, e rappresenta l'esatto contrario di tutto quel brio caraibico, seppur viziato da ombre, di "of Lilies and Remains" appunto, "In Fear of Fear" e "Kick in The Eye". Le Colline Sacre dei Bauhaus ci vengono suonate con un incedere da requiem. Murphy è incredibile nel trasmettere questa overdose di rassegnazione ed esoterismo senza scadere in uno spettacolo fine a se stesso. Echi lontani da fuoco fatuo e un impalcatura sonora che praticamente non esiste, essendo padroni assoluti gli effetti e non gli strumenti, incorniciano l'avvertimento ai comuni mortali di non turbare il sonno lugubre delle colline. "In Fear of Fear" e "Kick in The Eye" come detto sono l'altra faccia della medaglia, con i loro ritmi ballabilissimi impreziositi da chicche di elettronica povera. La deflagrazione rabbiosa di "Muscles in Plastic" rende a dovere la fisicità del disco, con un ritmo serrato e rabbioso. "The Man With the X-Ray Eyes" è più goth che non si può. Il pulsare di basso ricorda Siouxsie & The Banshees, cosi come la voce sciamanica e gli scampanellii dolcemente infernali che aprono e chiudono il pezzo, all'insegna di un terrore urbano, popolato da inividui emarginati e raccapriccianti.
La cesura è affidata alla title track e questa è decisamente il picco del lavoro tutto. "Mask", con termini e tematiche differenti, riesce a raggiungere le claustrofobie, la pesantezza, la splendente cupezza, dei PIL di "Albatross" o "Flowers of Romance", nonchè di "The Funeral Party" dei Cure o di "Decades" dei Joy Division. Musica semplicemente intollerabile questa, serie senza fine di implosioni che una fine poi la trovano, in un arpeggio di chitarra che spezza il cuore. "The Shadow is Cast", declama Murphy rassegnato e appagato masochisticamente dalla propria disperazione.
Divertente e talvolta geniale nelle sue divagazioni "tribali", insuperabile nelle parti oscure, questo è "Mask".
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