Difficile scrivere una recensione su un album che si è amato così tanto, si rischia di enfatizzarlo in maniera eccessiva raccontando il proprio sentire e non dando un punto di vista oggettivo e distaccato.

Fatta questa doverosa premessa (metto le mani avanti) ciò che comunque farò sarà proprio dare il mio personale punto di vista mixato con una rielaborazione delle parole stesse di Francesco Bianconi, leader dei Baustelle, raccolte all’interno di interviste rilasciate dallo stesso.

Fantasma arriva nel marzo del 2010 dopo “I mistici dell’occidente” che già aveva chiuso la prima fase artistica del gruppo dedicata all’adolescenza segnando il passaggio all’età adulta.

Insomma il tempo passa per tutti e così anche per Bianconi che decide di scrivere un concept album proprio dedicato al tempo.

Nel VII secolo Sant'Agostino nelle Sue Confessioni diceva: “Se nessuno me lo chiede, so cos'è il tempo, ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire”.

Insomma mettere il tempo al centro di un progetto musicale non è certo una scelta comoda. L’uomo ha paura del tempo perché crescere significa averne meno davanti e più la strada si accorcia più il tempo diventa una vera e propria malattia.

Questa volta oltre alla collaudata formazione composta dal già citato Bianconi con Rachele Bastreghi e Claudio Brasini si aggiunge un nuovo elemento non poco ingombrante: la Film Harmony Orchestra di Breslavia composta di 60 elementi.

Inoltre abbiamo la presenza di ben due cori, la Corale Polifonica ed il Coro di voci bianche della Fondazione Cantiere Internazionale di Montepulciano. Il tutto affidato agli arrangiamenti di Enrico Gabrielli compositore e polistrumentista già membro dei Mariposa e dei Calibro 35

La scelta del concept è una scelta coraggiosa in un epoca in cui l’unica cosa che vende è il singolo. Online ormai si acquista la singola canzone che si può ascoltare velocemente all’interno di una sgangherata playlist di uno smartphone mentre si fa altro, perché non abbiamo piu tempo per niente, di contro il concept ci impone invece un ascolto dall’inizio alla fine sacrificando il significato dell’isolata canzone a vantaggio del Totale.

Dai Pink Floyd a Fabrizio De André tanti grandi artisti ci hanno proposto questa peculiare forma di album musicale regalandoci indimenticabili capolavori.

Entriamo ora in Fantasma.

La copertina sembra la locandina di un film horror degli anni Settanta;

Il disco si apre con i ”titoli di testa” e si chiude con i ”titoli di coda”. Proprio Come fosse la colonna sonora di un film; I brani sono intervallati da frequenti intermezzi strumentali che segnano la ritmica dell’ascolto concedendo magari una pausa per chi trovasse faticoso il disco.

Infatti ci troviamo di fronte ad disco denso, difficile, a tratti pesante (nel significato positivo del termine) , tutto costruito intorno allo scorrere del tempo e quindi intorno ad uno spietato gioco tra il passato ed il futuro

Nel disco infatti è ben presente il fantasma del passato, un passato che rappresenta ciò che siamo stati e non saremo più, ma anche il futuro è visto come un fantasma e l’autore dirà: ”“Noi viviamo un momento - e lo raccontiamo anche nel disco - in cui il futuro è veramente fantasma, non è solo il passato ad inquietare, ma anche un futuro così incerto e dai contorni sfumati.”

Il terzo elemento centrale dell’opera è sicuramente la morte.

La morte nella cultura occidentale è una sorta di tabù carico di valori negativi, un qualcosa che viene visto come distinto dalla vita stessa e con essa in antitesi , di fronte alla quale è perfino consigliato fare gli scongiuri! In questo album invece se ne parla provando ad affrontare il tema in maniera diversa, meno negativa , perché in realtà la morte per altre filosofie e religioni è semplicemente un passaggio, un cambiamento di stato.

Non male per uno che si dichiara assolutamente pessimista e sempre pronto al peggio, ma riesce in questo disco ad aprire lo sguardo verso la speranza e nonostante il vestito oscuro, tenebroso, Fantasma lascia nell’ascoltatore un retrogusto di positività. Egli stesso dichiarerà:

“Il fatto che la parola “vita” compaia molte volte, idem la parola “figli”, sono segni inconsci di voler vivere”

Insomma la morte non esiste più.

E’ proprio questo il titolo del singolo che fa da traino al disco, una canzone d’amore a mio avviso indovinata, incentrata sull’idea di un anziano che canta una canzone-mantra alla sua compagna per annullare la morte. Che se poi davvero riuscissimo a credere che la morte non esista più solo allora potremmo dire di vivere liberi, senza zavorre.

Arriviamo al capitolo che reputo il più interessante del lavoro dei Baustelle, sto parlando di Nessuno, la seconda traccia del disco.

“Non credo alla Bibbia/Mi chiedo perché dovrei consultarla: offende gli dèi/Non prego la chiesa e il fetore che fa” Inizia così.

E’ una straordinaria canzone d’amore e disperazione insieme, il protagonista annega nel suo nichilismo e non crede più in niente, alla religione (Bianconi si dichiara ateo), ai preti che predicano bene e razzolano male, alla beneficenza che è falsa, al mercato (già duramente criticato in Amen ne “il liberismo ha i giorni contati” del 2008), non crede tantomeno ai governanti ed ai loro sporchi giochi di potere ( chi sarà”il figlio di troia che appalta la RAI”???) in tutto questo mare nero egli trova nella sua amata l’unico punto fermo e chiedendosi perché lei abbia scelto proprio lui, la prega, la prega di starle vicino e di dare dignità alla sua esistenza.

In questa sorta di credo al contrario ho trovato una similitudine con un capolavoro scritto da john lennon nel 1970, God. Anche in quel brano il protagonista elencava tutte le cose nelle quali non credeva più ( tra le quali i Beatles stessi) per finire con: ”I just believe in me, Yoko and me”.

Ma quella è tutt’altra storia.

Futuro è il titolo dell’undicesima traccia. La struggente e desolante malinconia di

come il futuro ci toglie la possibilità di divenire e diventa imperfetto. Come in “Autunno” di Francesco Guccini nel quale il protagonista chiuso in casa pensa confuso al mistero

dei tanti "io sarò" diventati per sempre "io ero"...Il finale è autobiografico e ci porta bruscamente alla realtà.

Il passato adesso è piccolo (piccolo perché lontano ) ed in quel passato c’è lui con due amici perso nel traffico del Pigneto a Roma “vite fa”.

La nostalgia forse di una gioventù e purezza perdute. Mi piace immaginare che faccia riferimento a quei pomeriggi d’estate della giovinezza nei quali due amici ed una passeggiata sono tutto ciò che puoi sperare di avere e non ti serve altro e a distanza di anni se ci ripensi non puoi non certificare i danni che causati dal tempo; la durezza, l’incanto perduto,le sovrastrutture costruite e le nevrosi.

Bianconi dice: “Del resto il rimpiangere le cose passate che non tornano più è un tema molto abusato nella cultura popolare, nelle canzoni, nelle canzonette e nel cantautorato. Un brano come Il Futuro parla appunto di questo ed è forse una delle più malinconiche del disco.”

Da segnalare la prima volta nella quale Bianconi si misura con il dialetto romanesco, da romano giudico la pronuncia quantomeno rivedibile, e ciò accade in Contà gli inverni.

Questa è una canzone il cui tema si colloca all’interno della tradizione classica della musica romanesca, quella di Lella di Edoardo de Angelis per intenderci, e racconta di un assassino perseguitato dal fantasma della donna che ha sgozzato.

Il cantato nel disco è ricco di riferimenti (Piero Ciampi, Gaber, De André), e la voce baritonale grazie all’assenza della batteria arriva facilmente ed in maniera chiara e pulita, almeno in studio.

Le cose da dire sarebbero ancora molte, di canzoni degne di essere citate ce ne sono ma lascio uno spazio libero, per non annoiare, che ognuno possa riempire con la curiosità di andare ad ascoltare Fantasma, sicuramente l’album della maturità di questa ottima band di pop colto che risponde al nome di Baustelle

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