L'ultimo dei Baustelle è un album di difficile decifrazione, che risente pesantemente dell'oggi. Si calibrano le tensioni e le angosce, si sfumano di romanticismo i contorni: ma è un romanticismo nostalgico, plastico. Quasi fuori luogo. L'atmosfera è la stessa che avrebbero respirato i maya se fossero esistiti fino al dicembre dello scorso anno, un'atmosfera pesante, verticale verso la propria fine. Ed è una fine che è piena realizzazione dell'esistenza: è l'estinzione della razza umana, una razza composta da involucri più che da persone, involucri intenti a fare o a subire il male, involucri senza sostanza & colmi di dolore.
C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo, ma non viene recuperato quel senso di bellezza che apriva una via di fuga in "Amen", e l'unico pannello di reale felicità ("La morte (non esiste più)") è dato da una visione estatica di un romantico che deve fuggire la realtà per trovare un briciolo di cuore e poter andare avanti. Il resto è una discesa che sa tanto di deja-vu (deja-vu, lo esplicito, non nel senso pleonastico del termine, quanto appunto in quello di ineluttabilità perspicua), che parte con una dichiarazione di sfiducia ("Nessuno") e termina con una dichiarazione di resa ("Radioattività"): nel mezzo, ci sono tasselli che nutrono la necessità della fine. C'è chi ammazza l'amore della propria vita ("Contà l'inverni"), c'è chi si aggrappa a uno spazio inesistente ("Diorama") &cc. Qua e là qualche spruzzo di speranza, vaga e molto diluita, che sparge poca luce in un oceano di notte come le lucciole d'estate.
L'album pare costruito come un film catastrofico, e i titoli d'apertura e di coda ci sono, così come le reminiscenze morriconiane; qualcuno lo ha accostato al primo concept di de André, qualche altro ha sottolineato la maturazione avviata col precedente "I mistici dell'occidente", già lontano dagli aspri umori adolescenziali che ancora vibravano in "Amen". E sì, ci sono Baudelaire, il misticismo e tante altre cose, ma non è questo il lato preponderante del disco, così come non lo è il lato catastrofico di esso, perché sfugge maledettamente, questo disco. Sfugge in maniera antipatica, e, finito di ascoltarlo, la sensazione è quella del non-detto, dell'essersi persi qualcosa di una storia che conosciamo a memoria.
Bisogna avere fedenavigare nello spazio sideralepresupporre l'aldilàché siamo troppo avvezzia stare malea proteggerci dal soledalla radioattivitàCarico i commenti... con calma