Una vexata quaestio dagli albori dell'arte cinematografica è: può un film tratto da un'opera letteraria risultare di eguale qualità e suggestionare lo spettatore? Personalmente trovo difficile un esito positivo come può essere nel caso delle pellicole ispirate ai romanzi, dalla prosa accattivante, di Ian Fleming e imperniate sulle epiche gesta dell'agente 007. Si tratta infatti di romanzi d'azione e intrisi d'adrenalina . Diverso è il discorso applicato a romanzi in cui prevale l' introspezione psicologica dei personaggi coinvolti, con tanto di accenno alle grandi tematiche della vita tipo il tempo che passa, il senso dell' esistenza, il sentimento amoroso provato per il prossimo, ecc. Qui, inevitabilmente, quanto si vede sullo schermo è di tutt'altra resa rispetto a quanto riportato efficacemente sulla pagina scritta.
Ed è per dare un' idea chiarificatrice della suddetta convinzione che un classico della letteratura americana novecentesca come "Il grande Gatsby" può essere utile. Sono andato a recuperare sulla piattaforma Netflix (con i limiti immaginabili in quanto a resa scenica rispetto alla visione in un cinema) l' ultima trasposizione filmica, uscita nel 2013, a firma del bravo Baz Luhrmann, del suddetto romanzo di Francis Scott Fitzgerald. E le mie perplessità sono rimaste invariate. Perché, come molti già sapranno avendo letto Il libro, la vicenda che ha per protagonista il ricco Creso di nome Jay Gatsby è sì riportata fedelmente, ma nella resa scenica rutilante delle sue feste in una villa a Long Island qualcosa si finisce con il perdere. Lo spettatore resta abbacinato dalla visione scintillante delle feste del protagonista che ha lo scopo di ritrovare Daisy, donna amata cinque anni prima quando lui era in procinto di partire per il fronte nella prima guerra mondiale. Peccato che nel frattempo lei si sia sposata con un ricco bellimbusto per niente fedele e le cose, savasandire, si complicheranno fino ad un esito tragico.
Così come risulta nel film, l' intera vicenda ha i tratti di un feuilleton scontato mentre, a mio parere, il romanzo di Fitzgerald riesce ad attirare l'attenzione del lettore su temi importanti presenti sottotraccia come il tempo che passa inesorabile, il mutamento da ciò derivante su ciascuna persona, la fragilità intrinseca di quel sentimento chiamato amore, incapace di durare intatto nel corso temporale (smentita efficace del detto latino " amor omnia vincit"). Insomma, dietro la facciata del romanzo " Il grande Gatsby" c'è ben altro ed è molto più pregnante.
Detto ciò, il film di Luhrmann (che si avvale di una colonna sonora a metà strada tra jazz e hip hop) ha indubbiamente grandi pregi che non sono legati solo alla ricca e sontuosa scenografia, nonché all' ottima recitazione (scontato forse ricordarlo) di un attore del calibro di Leonard Di Caprio ( perfetto come Jay Gatsby) e anche di Tobey McGuire in veste di Nick Carraway, fortunato vicino di casa del protagonista.
Si deve infatti aggiungere che Luhrmann, nel gran caravanserraglio delle scene ambientate durante le feste nella villa del tycoon, ha ricreato alla perfezione quell'euforia di cui erano intrisi i "roaring twenties" negli USA del secolo scorso, quando i guadagni sia in Borsa, sia con lo spaccio fuorilegge dell'alcool sembravano infiniti ed inarrestabili. E il personaggio di Gatsby, nella sua statura tragica di uomo illuso di poter remare controcorrente rispetto al tempo, non è solo figlio di quell'epoca ma rappresenta tanti altri epigoni arricchitisi smodatamente, in modo non proprio cristallino e destinati a scivolare rovinosamente. E qui il mio pensiero non può non andare ad un illustre tycoon italiano recentemente defunto e molto noto nei paraggi di Arcore e non solo...
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