Non mi era piaciuto all'inizio questo "Bloom". Ero arrivato tardi a conoscere i Beach House, gruppetto indie di Baltimora dal sapore dream pop e quasi esclusivamente retró. Il mio bassista me li aveva consigliati e allora ero sprofondato subito nelle elegie funebri di quel gioello di Devotion e nel pop cristallino di Teen Dream. Non avevo nemmeno avuto il tempo di dimenticarli per un pó che mi esce questo loro quarto lavoro, per altro poco o per niente pubblicizzato e anticipato da loro dichiarazioni di Victoria LeGrand quali "non abbiamo intenzione di cambiare stile o suoni da album a album, se non vi piace la nostra musica tendete l'orecchio semplicemente da un altra parte". Bene.
L'album si apre con Myth e finora nessuna sorpresa: drum machine vecchio stile, tastiere sognanti e chitarra tenuta a bada fino all'arrivo della voce a scandire una melodia sorniona e ormai a noi fan del duo, prettamente familiare. Ma piu' mi inoltro nell'ascolto piu' qualcosa di differente e conturbante mi avvolge: il suono si fa cupo e pesante, sovrastato da tastiere anni 80 e la voce di Victoria é diventata più roca e bassa che mai prima d'ora. Siamo effettivamente lontanissimi dal minimalismo degli esordi e dalle melodie catchy del seppur pregevole precedente Teen Dream. Qualche malizioso potrebbe obiettare che il duo si stia apprestando al piu' bieco mercato mainstream nell'arricchire il suono di cosi' tali raffinatiarrangiamenti. In realtá tutto ció é soltanto apparenza: i Beach House ci hanno fatto credere di aver cambiato solo lo stile rendendolo ballabile e dark allo stesso tempo, pur mantenendo le stesse solite melodie orecchiabili e perfette, in realtá si cela qui il forte desiderio per la prima volta di sperimentare.
I brani sono lunghi e ostici, c'é pure spazio per una suite finale di quasi 17 minuti (Irene) e ogni canzone inventa uno stratagemma diverso, restando comunque sempre ancorato al genere "Beach House", ormai piu' che altro un marchio di fabbrica. C'é spazio per una pianola vaudeville (On the sea), per un riff martellante quasi hard-rock (The hours), per una sinfonia natalizia (Wishes) e anche per una dolce parodia di sé stessi (Lazuli).
Dal sound di "Bloom" e dalla stessa copertina (un telo nero tempestato di luci bianche) si percepisce come i Beach House siano in un momento personalmente forse cupo della loro vita e di conseguenza di transizione e di cambiamento, volenti o nolenti, sul lato artistico. Questa volta dunque dimostrano il fatto che la loro casa sulla spiaggia non é lo sfondo di una placida estate, ma dalle sue finestre non si intravede altro che un nero mare nero e in tempesta.
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