Neanche il tempo di metabolizzare la notizia dello scioglimento, che ciò che rimane degli Oasis post arrivederci di Noel -e quindi irrimediabilmente altro rispetto agli Oasis degli splendori ninety- si ripresenta sulle scene musicali, appena due anni dopo, sotto le vesti pseudo-rinnovate dei "Beady Eye". Medesimi componenti, medesimo volpone di Liam Gallagher a far da icona musicalmodaiola che catalizza l'attenzione e ottenebra l'insignificanza del tutto.
Sì perché il disco con cui la "nuova" band si è (ri)presentata a tout le monde lo scorso 28 febbraio, dal titolo "Different gear, still speeding", è l'emblema della pochezza e del pressapochismo. A costo di dar contro alla pretenziosa titolazione, la speed non è più la stessa senza Noel. Senza un autore geniale della sua caratura, il mix oasisiano di classicismo reinterpretativo e di originalità nell'assembramento delle influenze cede il passo ad una semplice reminescenza sonora di stralci di tradizione, una semplicistica e stanca reiterazione della patina più superficiale di un certo rock'n'roll anni Sessanta-Settanta. La tendenza alla derivazione, che negli Oasis era rielaborata in chiave moderna e rivestita di nuovo senso, rimane ora l'unico colore della tavolozza Beady Eye. Una tavolozza povera, che lascia una sensazione di malcelato malcontento per pezzi orecchiabili ma che non si staccano dalla piattezza di un color fumodilondra (o dimanchester, se preferite).
Ma scandagliamolo nel dettaglio, questo esordio-non esordio, con tredici tracce non si sa quanto farina del saccoccio novello o del bagaglio di spezzoni-demo-tentativi che un gruppo come gli Oasis aveva alle spalle. Partiamo dalle tracce più deludenti, che sono, a mio parere, quelle che più insistono su una stucchevole ripresa del rock'n'roll nella sua accezione più spiccia e leggerina, di quei riferimenti logori e consunti a tutte le gradazioni dei Cliff Richard e dei Kinks. Sono "Three Ring Circus", "Beatles and Stones" (per l'appunto) e "Bring the light", che al suo primo apparire ha suscitato un coro lamentoso anche dei fan più accaniti, convintisi che Liam si fosse trasformato nel sosia patetico di Elvis. Salendo di un gradino nella scala valoriale, troviamo i pezzi fedele fotocopia del puro stile Oasis, anche qui nel senso più banalizzante del termine: quel flovour tipicamente gallagheriano, caratterizzato soprattutto da quella voce strascicata ma graffiante di Liam e da quella cadenza tutta Britpop che Noel aveva nel sangue, è riproposto ora nella sua versione più scontata, in canzoni come "Kill for a Dream", "Standing on the Edge of the Noise", "The Roller"( primo singolo estratto, incrocio tra la "Lyla" e l'"Instant Karma" del Lennon), "Millionaire", "Wind up Dream", "Wigwam" che potrebbero essere uscite da uno "Standing on the shoulders of giants" scritto da una cover-band. Sul gradino più alto di questa escalation non certo esaltante si collocano quei pezzi in cui il crogiolo di influenze, pur rasentando il plagio, si trasforma in qualcosa di minimamente "originale", o per lo meno apprezzabile: il poppeggiare garbato e dolce di "For Anyone", l'incedere cadenzato ed evocativo di"The Morning Son" (similissima a "Soldier On"), la ballatona spudoratamente beatlesiana ma gradevole "The Beat Goes On", il rock grintoso e potente di "Four Letter Word".
Insomma, pochissimo si salva in questo oceano di prevedibilità. Consigliato solamente agli appassionati amanti del genere. Per tutti gli altri, l'occasione di rivalutarlo non è certo questa. Magari solo il ben più sostanzioso Noel potrebbe riuscire nell'impresa.
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