“Paul’s boutique” esce nel 1989, tre anni dopo l’esplosione commerciale di “Licensed to ill”, disco divertente e niente più, anche se fu uno dei primi a coniugare rap e rock (in un brano suonava pure Kerry King degli Slayer).

Questo album però è molto più ambizioso. Anzitutto i 3 abbandonano Rick Rubin, e per produttore si scelgono la coppia più cool del momento: i Dust Brothers (sì, proprio quelli che i Chemical brothers adoravano al punto da rubargli il nome all’inizio della loro carriera). Questa scelta segnò l’ampliamento dei confini della loro musica oltre le schitarrate hard che enfatizzavano i loro rap per Ali Babà e il loro sacrosanto diritto di fare casino. Grazie appunto ai Dust brothers i 3 adorabili idioti della Grande mela spostano decisamente l’ago della bilancia verso la black music, specialmente verso il funk e la disco dei seventies, in modo da fare di “Paul’ s boutique” un album più raffinato, oltre a essere la base delle loro sperimentazioni negli anni 90.

I campionamenti sono ovviamente la base di tutto (samples presi da Sly Stone fino a Curtis Mayfield), grazie alla perizia con cui i Dust brothers ricuciono il tutto in un delirio di beats, loops e trucchetti vari. Il nuovo corso però non relega in magazzino i poderosi riff hard rock, lo sboccato rapping, le bizzarrie e l’ironia di “Licensed to ill” (emblematico un verso cazzaro come "A lot of parents seem to think I'm a villain, but I'm just chillin'. Like Bob Dylan”). Nella vetrina della boutique di Paul sono quindi messi in bella evidenza tutti gli articoli di questo raffinato campionario: le cose migliori le fanno in “Shake your rump” con il suo continuo susseguirsi di suoni diversi tra loro, in “5 pieces dinner” in cui i tre cazzoni vanno in gita a Nashville per distrasi con il bluegrass prima di tornare alle chitarre pesanti in “Lookin’ down the barrel of a gun”.

Il momento però che sintetizza l’ambizione del disco è la lunga traccia finale, “B-boy Bouillabaisse”, in cui i Beasties macinano e mescolano alla rinfusa residuati di musiche eterogenee per cucinare una delle più piccanti e variegate zuppe sonore nella loro carriera da rinomati chef musicali.

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