Respirando l'aria gelida delle prime ore del giorno, si vaga per il  bosco calpestando un letto di foglie secche, cadute pochi mesi prima dagli alberi che ci circondano. Il cielo di un grigio pallido, quasi bianco, si estende sopra la coltre arborea, l'odore della terra e del legno bagnato penetra nelle narici ed entra dritta nel cervello. Stoici uccelli cinguettano disperati in cerca di cibo, lo scrosciare di un rigagnolo d'acqua che non vuole arrendersi al gelo è appena avvertibile. Nessun altra presenza invade questo desolante spettacolo naturale. L'inverno è calato con il suo freddo abbraccio per portare la gelida desolazione che solo la Natura riesce a provocare; ogni forma di vita sta fuggendo verso altri lidi, o s'incammina mestamente verso un lungo riposo. Oppure morirà in mezzo alla coltre bianca che da lì a poco coprirà la selva. Mentre si continua a camminare, s'intravede una chiesetta romanica sperduta in mezzo agl'alberi, antico luogo di riposo per i viandanti e ancora di salvezza per la popolazione che, per sfuggire ai saccheggi, si rifugiava nella foresta. Entrando nel piccolo luogo di culto, si rimane sorpresi dagli splendidi affreschi che ornano le pareti, resi appena visibili dalla fioca luce offerta dalle candele. Le campane suonano mestamente l'inizio di una nuova ora, un organo di sottofondo fa capolino nella mente dello spettatore. Un'aura di desolante e gelida disperazione avvolge il luogo, gli affreschi raffiguranti scene di vita quotidiana prendono forma rivelando la vita dei villani, le loro abitudini, i loro costumi. La confusione assale la mente, una tristezza palpabile la arrovella, i ricordi delle persone care si rifà vivo. Le amicizie finite, gli amori finiti, le sensazioni piacevoli che sono passate o, peggio, che potrebbero essere state vissute, lasciano un sentimento d'amarezza mista a rabbia, si viene scossi da un fremito e ci si lascia cadere a terra a pensare su quanto le cose e i sentimenti che si provino nell'esistenza siano vani.

Questo è il quadro raggelante che ci offrono i Beatrik, band alto atesina nata nel 1998 e dedita ad un freddo Black/Doom (o Depressive Black, che dir si voglia). Il gruppo, per chi non lo conoscesse, è composto da due elementi: Frozen Glare Smara chitarrista, cantante e vera mente del progetto, e dal batterista Vidharr. Il lavoro qui recensito è "Requiem Of December", disco uscito nel 2005 per l'Avantgarde Music, postumo all'ottimo "Journey Through The End Of Life".

Anche questa volta i Beatrik dimostrano di saper far bene il loro lavoro, "Requiem Of December" non è una copia del predecessore; con questo platter il gruppo abbandona il freddo Black/Doom del precedente album, il quale presentava uno stile ferale e freddo con uno scream ispirato a quello della prima scena norvegese, per approdare ad uno stile più personale, con uno scream più rauco e tempi ancor più dilatati.

Sarebbe inoltre sbagliato pensare che questo sia un altro gruppo che inneggia al suicidio per farsi della facile pubblicità. I testi dei Beatrik come detto da Frozen Glare Smara sono "ispirati agl'istanti prima di morire, della tristezza che sopraggiunge durante un funerale, dell'angoscia del sapere di dover morire".

L'opener dell'album è "My Funeral To Come", canzone lunga oltre dieci minuti, che si apre con il mesto suono delle campane e di un organo, i quali lasciano spazio alla monolitica melodia offerta dalla chitarra e dallo scream disperato del cantante. La canzone poi evolve, sale di ritmo fino ad esplodere in un ferale blast beat per poi scemare con toni più sommessi, fino a concludersi con la melodia presentata all'inizio. Il dualismo d'organo/campana verrà poi riproposto alla fine delle altre cinque tracce. "Eternal Rest", terza canzone dell'opera, si apre invece con una chitarra lenta che disegna una melodia ipnotica. Pochi minuti, e questo ipnotico motivo sfuma fino a cessare, si avverte il suono di un ruscello, degli uccelli cinguettano in sottofondo. Un bellissimo arpeggio di chitarra ripetuto in loop accompagna il suono della natura e preludia il ritorno dello scream del cantante, il quale profetizza tristemente la fine della sua esistenza. Questo è il momento più calmo dell'album e, quando sopraggiunge il suono dell'organo, si ha la consapevolezza che anche questo attimo di dolce desolazione è terminato e che si rientrerà nel turbinio dell'angoscia. L'opera finisce poi con la buona "Returning After a Death".

I lati negativi dell'opera sono sicuramente rappresentati dalla ripetitività  e ridondanza delle canzoni figlie di una proposta musicale forse sin troppo estrema (qui non basta "masticare" un po' di doom).

In conclusione, "Requiem Of December" è un bellissimo disco (forse inferiore al precedente), ricco di Pathos e d'angoscia, ma che farà la vostra felicità solo negli attimi di profonda desolazione e solo se siete veramente abituati al doom estremo. Consiglio perciò l'ascolto solo nei momenti più neri, ove è possibile riuscire ad entrare pienamente in empatia con questo album.

Voto 83/100

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