Sporchi ma non troppo, incazzati quel che basta, cazzoni e rock n' roll a sufficienza per girare in heavy rotation in quei viaggi senza meta dove i chilometri sono proporzionali alla voglia di staccare la mente per un pò, lasciando momentaneamente a qualcun'altro il grido sia ha dentro.
Ecco i Beatsteaks, cinque berlinesi che al loro terzo lavoro decidono di inserire i jack, invitare amici e conoscenti, e registrare interamente tutti i brani dal vivo, riuscendo così a creare un album d'impatto e convincente.
Le corde vocali del leader Armin Teutoburg-Weiß, modellate da una vita di sregolatezze on the road, graffiano su un tappeto sonoro che sa di punk, hardcore, rock n’ roll e funk arrivando anche a influenze reggae.
Big Attack e Vision aprono le danze avvertendo i curiosi che il basso incalzante e i riff taglienti non sono altro che il preludio a un'esplosione sonora e vocale che non risparmiano nessuno.
Il dovuto ringraziamento a Joe Strummer (Hello Joe), prende invece una piega più ritmata e meno tirata, così come in Hand In Hand, primo singolo pubblicato, che su una matrice quasi funkeggiante viene spezzato dalla furia del ritornello.
Da qui è un susseguirsi di episodi di rabbia violenta come in Everything, alternati ad atmosfere leggermente più rilassate e vagamente reggae (I Don't Care As Long As You Sing), dove per un attimo si respira l'aria di "Reggatta De Blanc", fino ad arrivare a richiami pop anni ‘80 (Atomic Love).
Il risultato colpisce nella sua compattezza; dodici tracce che scorrono via tirate, con soluzioni ritmiche e vocali sempre accattivanti e mai troppo banali.
E' proprio la splendida voce sofferta del singer, capace di inventare melodie interessantissime e sporche allo stesso tempo, a lasciare maggiormente il segno in un album ben suonato e ottimamente prodotto che risulta uno dei prodotti punk n' roll più convincenti degli ultimi periodi.
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