Il laboratorio creativo di Beck Hansen non conosce limiti nelle sue decostruzioni sonore, nemmeno dopo il meraviglioso pasticcio sui generis di 'Odelay'.
Le miniature disordinate dei lavori precedenti, trovano una dimensione più studiata e sentita in questo quinto capitolo, caratterizzato da tipiche intuizioni Beckiane sospese su un cantautorato insolito e decisamente affascinante, ora giocato su lente digressioni armoniche d'ampio respiro emozionale. Canzoni in lieve "mutare" nella loro essenzialità, arrangiate con l'aiuto dell'infallibile Nigel Godrich che permette una maggiore leggibilità melodica nelle stranezze dell'artista, anticipando quella vena malinconica e poetica che farà la fortuna artistica di 'Sea change'.
Il gusto di modulare a piacere stili diversi è ben presente lungo i 13 brani di Mutations: una chitarra wah-wah nella sgraziata Cold brains, gli innesti del sitar nel giardino psichedelico di Nobody's fault but my own, le tentazioni sydbarrettiane nella svolazzante Lazy flies, i bagliori romantici di We live again, le stravaganze brasiliane di Tropicalia, gli inserti elettro-acustici nella Bottle of Blues, le atmosfere retrò di O Maria e altre delizie (s)velate, come l'aria raccolta intorno ai tramonti arpeggiati di Dead melodies e Sing it again; su tutte, spicca la dolcezza di Static, nostalgica e avvincente al tempo stesso, ballata Pop che colpisce da subito per la grande efficacia interpretativa.
Ma i 3 minuti di Canceled check hanno un incredibile impianto strumentale: su una melodia sorniona si susseguono un piano vaudeville, una chitarra country, un'armonica folk, una tromba orchestrale, che all'improvviso s'arrestano all'ultimo minuto quando sopraggiungono frastuoni imprevedibili e rumorismi vari. Un altro episodio da ricordare è il delirio post-lisergico di Diamond bollocks, 6 minuti totalmente avulsi dal contesto per stravolgere le aspettative dell'ascoltatore: sulla base di una pianola classicheggiante, si inserisce la furente sezione ritmica seguita da spiazzanti trovate, compreso il canto degli uccellini (che sia un omaggio ai Pink Floyd?) e un finale sinistramente Progressive. Sembra l'ideale conclusione dell'album, ma Beck non finisce mai di stupire; con la successiva Runners dial zero ci porta in ambientazioni claustrofobiche, glaciali e apocalittiche, forte di un suono in sfacelo, del piano oscuro e della voce cinica.
Già da Mutations, Beck ha dimostrato di sapere andare oltre la sua abilità nel ridipingere i generi, se c'è un disco che fa da spartiacque tra la prima e la seconda carriera del nostro, è sicuramente questo. Tanto ricercato quanto godibile.
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