Ambizioso, inconfondibile, debordante: non paghi dell'eccellente esito artistico di "Idea", nel 1969 i Bee Gees si spingono oltre con "Odessa"; c'è voglia di grandeur in casa Gibb: copertina in velluto rosso con lettere dorate, poi abbandonata per gli eccessivi costi di lavorazione per questo poderoso doppio LP, forse una risposta al "White Album" dei Beatles. Il doppio album è una scelta piuttosto rischiosa: riempitivi ed eccessiva prolissità sono sempre dietro l'angolo, ne sa qualcosa Elton John con il suo "Blue Moves" e persino con l'acclamatissimo "Goodbye Yellow Brick Road", ma non è questo il caso: pur caratterizzato da sonorità leggermente più omogenee rispetto a "Idea", "Odessa" regge benissimo tutti i 64 minuti di durata, che scorrono via in una mirabolante infilata di grandi canzoni, trovate geniali, melodie che deliziano il nervo acustico e tanti umori ed atmosfere diverse unite da un comune filo, ovviamente di pregiato velluto rosso.

Prima di "Odessa" raramente una canzone dei Bee Gees superava i tre minuti di durata, ora i sette minuti abbondanti della titletrack si affacciano verso scenari tipicamente prog: cori echeggianti, quasi distanti e arcani, orchestrazioni soffuse, momenti di serena melodia che stemperano un'atmosfera quasi surreale, poi l'inquietudine e i cambi di tempo tornano a dettare leggi; un ossessivo violoncello di sottofondo, chitarre acustiche che disegnano melodie mutevoli e umorali, poi ancora quelle linee vocali riverberate, parlando di naufragi e navi fantasma: decisamente, questo disco non è un bluff, ma le sorprese non finiscono qui, anzi, il meglio deve ancora venire: lo strumentale "Seven Seas Symphony", con orchestrazioni, cori e mellotron in primo piano, è un meraviglioso spleen sinfonico di quattro minuti, intriso di suggestione e malinconia, "Edison", stralunato omaggio all'inventore della lampadina, fa della ripetitività ipnotica e cantilenante del ritornello la propria arma vincente; "Suddenly", "Whisper Whisper" e "I Laugh In Your Face", anche se più semplici e canoniche, hanno tutte un retrogusto particolare, "eerie" per dirla all'inglese: melodie accattivanti con un pizzico di ossessività e follia; mai prima d'ora i Nostri avevano proposto sonorità simili e nei dischi successivi rappresenteranno episodi sporadici ed isolati.

"Marley Purt Drive" e "Give Your Best" propongono uno stile spiccatamente country, addirittura bluegrass per la seconda, anche questo inedito per i Bee Gees, e sono due tra gli episodi più piacevoli e brillanti dell'album; ballate come la giocosa e spensierata "Melody Fair", l'intensa "Black Diamond" e le sofferte "Sound Of Love" e "You'll Never See My Face Again" rappresentano un'evoluzione di quanto già mostrato nei due album del 1968, ed infine ci sono i due pomi della discordia: la natalizia "First Of May", cantata da Barry, e "Lamplight", la ballad capolavoro dell'album, intrisa di sonorità folk sentite e passionali, cavallo di battaglia di Robin: il contenzioso su quale delle due canzoni dovesse essere il singolo di lancio fu vinto da Barry, nonostante la superiorità stilistica di "Lamplight", e Robin lascerà il gruppo: la divisione durerà solo un anno, eppure tanto basta per scrivere la parola fine al periodo più aureo della band, di cui "Odessa" rappresenta l'ideale coronamento.

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