Dopo appena un anno dal precedente "Gulag Orkestar", Zach Condon pubblica il secondo capitolo della saga Beirut: "The Flying Club Cup". Il titolo dell'album deriva da un festival di mongolfiere parigino di inizio '900, con la Francia (e Parigi) che non hanno influenzato solo nel titolo ma anche nelle sonorità il disco (un concept sulla Francia?), che abbandona in parte le sonorità balcaniche dell'esordio.
Dopo la chiamata alle armi iniziale parte "Nantes", che ci fa entrare da subito nel mood dell'album, sia per il titolo che per l'utilizzo di un dialogo tratto dal film "La Bête Humaine" di Jean Renoir (trasposizione cinematografica del romanzo di Emile Zola). Con "Guyamas Sonora" si ritorna agli arrangiamenti balcanici (influenzati da Goran Bregovic) di "Gulag Orkestar", ma già "Le Banlieu" con la sua mesta malinconia ci riporta alle atmosfere che avevamo incontrato in precedenza. Nella minimale "The Penalty" è protagonista l'ukulele, presente in misura maggiore nel precedente lavoro. Il pianoforte attorno a cui è imperniata "In The Mausoleum" è debitore del Sufjan Stevens di "Illinoise", ma il risultato finale appare meno fastoso rispetto al baroque-pop di Mr.Stevens.
Gli episodi finali del disco (si noti in particolare "Cherbourg") danno l'idea di essere riempitivi o comunque di idee sviluppate male e ciò fa scendere di valore un disco che fino ad allora si era mosso su livelli medio-alti. Forse è proprio la durata leggermente elevata l'unica pecca di quello che, altrimenti, poteva essere un ottimo disco, un disco senza cadute di stile.
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