“Every Kingdom” è un album vivace e pieno di vita. Lo paragonerei all’adolescenza o ad una relazione amorosa nel pieno del suo corso. Nell’album vi sono anche momenti malinconici (“Everything” e “Black Flies” su tutti), come vi sono momenti del genere nell’adolescenza ed in una relazione, ma sono momenti in cui il dolore risulta sempre filtrato da una sorta di pellicola che io chiamerei inconsapevolezza. L’album successivo,” I Forget Where We Where”, che ho recentemente recensito, ci mostra un Ben Howard quasi totalmente diverso, mutato. Non più un ragazzo che sente e osserva il piacere ed dolore propri o altrui filtrati da quella pellicola di cui ho parlato, ma un giovane uomo, che, volente o nolente, non può fare a meno di vedere il mondo per quello che è: nei suo aspetti positivi, e soprattutto in quelli negativi che provocano inevitabilmente sofferenza. Non c’è più nessun filtro, nessuna pellicola a difenderlo dalla realtà, smussandone i lineamenti. Nell’’Ep “The Burgh Island”, che si pone tra le due pubblicazioni, io vedo una sorta di soglia accostata. Una soglia che fino ad allora era stata ben sigillata. O magari, ancora meglio, un primo strappo in quella pellicola che filtrava ogni esperienza salvando il nostro Ben dalla consapevolezza del reale. “The Burgh Island” è come le ultime serate di ebbrezza trascorse da un adolescente che, stordito, osserva il misterioso orizzonte dinanzi a sé provando per la prima volta paura per l’ignoto, consapevole che quella fase della sua vita sta giungendo a termine. Oppure potrebbe rappresentare le ultime serate di una coppia che sa di essere giunta alla conclusione del proprio amore e, non avendo ancora il coraggio di ammetterlo, ricorda con nostalgia i bellissimi momenti della propria storia. Questo percepisco io nei quattro brani che costituiscono l’Ep. “Esmerelda”, la cui strofa è un tetro arpeggio di chitarra che accompagna un malinconico canto per poi esplodere in un energico ritornello che trasuda però nostalgia per qualcosa che stiamo perdendo, che sta affondando, annegando fra le onde di un mare nero. La stupenda “Oats In the Water”, ipnotica nella strofa grazie ad un arpeggi di chitarra magnifico e ad un canto malinconico, nostalgico e conciliante allo stesso tempo, per poi coinvolgere e trascinare in un ritornello estremamente emotivo, per non parlare dell’assolo di chitarra da brividi che chiude la canzone… “To Be Alone” un crescendo quasi ambient in cui Ben ripete in modo quasi ossessivo di non aver bisogno di nessuno, ma allo stesso tempo di essere solo, per poi sfogarsi in un dolce e melodico ritornello che non mi stancherei mai di ascoltare. L’Ep si conclude con un altro pezzo stupendo: la rilassata e rilassante “Burgh Island (feat. Monica Heldal)”. Con quest’ultima canzone meno tesa delle altre forse si ha l’affrancamento da tali pensieri che tormentano il giovane al termine della propria adolescenza, o la coppia alle prese con la dura realtà delle cose, o magari semplicemente l’accettazione del cambiamento. L’accettazione che l’esistenza è un ciclo, anzi, un susseguirsi di cicli. Ed ogni ciclo ha un inizio ed una fine. "The Burgh Island" è come un ponte un pò traballante sull'abisso che collega il noto all'ignoto, che collega il passato con il futuro, l'adolescenza con l'età adultà.
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