Non so se quest’anno sentiremo parlare di mirabolanti imprese ciclistiche, di fughe chilometriche, di maglie rosa e ciclamino o di crono al cardiopalma;lo spero ma comincio a dubitarne.
Domenica mattina, colto da insaziabile necessità di sellino ho rimontato i rulli in garage e mi sono dedicato, visto il periodo di monachesimo e clausura, ad un allenamento indoor.
Complice la giornata nuvolosa e nel tentativo di emularne le condizioni metereologiche (così giusto per meglio entrare nella parte) ho caricato sul portatile un DVD con la telecronaca di una umbratile e piovosissima Parigi-Roubeix del 1987 e con il gruppo ho pedalato, come se fossi un criceto in crisi di nervi, favoleggiando su inarrivabili traguardi ed improbabili podi…
Favoleggiando appunto, poiché alle competizioni -a livello amatoriale- a cui ho partecipato mi sono sempre contraddistinto per essere arrivato tra gli ultimi, ma senza mai toccarne il fondo, forte e determinato a non subirne l’onta. Mai domo!
Chi invece si distinse per essere sempre l’ultimo della carovana e con questo eterno piazzamento vi campò, fu Luigi Malabrocca detto il cinese per via di quegl’occhi con taglio a mandorla. Nomignolo piazzatogli niente meno che da Fausto Coppi in persona col quale il Luisin iniziò a gareggiare nelle gare di paese per poi approdare al grande ciclismo; un ciclismo eroico quello del dopoguerra fatto di duelli epici, colpi bassi, strade dissestate, ritardi clamorosi, gogliardia e voglia di riscatto.
Malabrocca, corridore nato nel 1920 fece del suo ultimo posto in classifica un lavoro e da quando venne istituita la maglia nera, la quale fisicamente veniva indossata nelle tappe del giro dall’ultimo in classifica, si dedicò anima e corpo a tale obiettivo. Non certo senza barare o quantomeno giocando d’astuzia, dal momento in cui i premi che venivano dati all’ultimo non avevano nulla da invidiare a quelli distribuiti ai primi.
Il libro narra le divertentissime peripezie eroiche di Malabrocca, prode nobile degli ultimi in grado di registrare le sue forze al minimo, ingranando la marcia ridotta con regolarità certosina e riuscendo ad imboscarsi se necessario fuori dal gruppo, come quella volta che si nascose al di sotto di un ponte, inseguito da una folla di ragazzetti divertiti che lo inneggiavano, pur di arrivare ultimo. Le alleanze con altri corridori erano all’ordine del giorno; l’importante era arrivare ultimo accordandosi con loro per dividere il premio, in denaro o natura che fosse.
Guadagnò parecchio e diventò popolarissimo tra i seguaci del Giro i quali non aspettavano più solo il gruppo di testa, ma sostavano lungo il tracciato inneggiando per il loro mito, capace di riscattarsi dalla sua condizione di ultimo ultimo e che con loro non disdegnava fermarsi per bere un goccio di rosso accompagnato da un buon salamino, all’insegna di una solidale amicizia.
Una storia d’Italia in bianco e nero letta dalla parte degli ultimi, avventurosa, divertente, curiosa e colma di retroscena ed astuti trucchetti al limite del regolamento che ci consegna un perdente vincitore, un ultimo che diventa primo, una la disgrazia che si tramuta in fortuna. E di colpo siamo tutti come il Luisin!
Ah, dimenticavo: domani farò Gavia e Mortirolo e giovedì sarò sul Mount Ventoux!
Da ascoltare durante la lettura: "La Bicicletta" - Tetes De Bois
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