Dopo la morte di Perón il generale Videla diventa dittatore. È il 1979, e una coppia di rivoluzionari in esilio torna in Argentina assieme ai due figli e allo zio di loro. Infancia Clandestina si riduce a questo, una trama che par solo abbozzata per un film spezzato in due, da una parte la lotta per la libertà e dall'altra l'infanzia clandestina dei due piccoli, forse ancora più sofferta dell'attivismo politico dei genitori, un film sulla rivoluzione dove la rivoluzione è solo ai margini, è lo sfondo di una giovinezza mancata, di un Bildungsroman che si compie all'improvviso, di un bambino, Juan/Ernesto, che vede sfumare il proprio amore per un'argentina a causa della clandestinità in cui è costretto. Protagonista del nulla, la sua vita assume una coscienza nuova nel momento in cui lo zio viene ucciso, quello zio che un giorno disse che «la felicità non è sorridere ma credere, aver fede, credere molto in qualcosa così da poterlo ottenere. E vivere così».
Ávila, come il Larrain di No (film sul referendum cileno pro/contro la dittatura di Pinochet) o il Guédiguian de Les Neiges du Kilimandjaro (ovvero, come ha detto qualcuno, la classe operaia a Marsiglia non va in paradiso), fa emergere le persone che i libri nascondono dietro quegli atti impersonali che il tempo ha ridotto a sabbia, una scelta coraggiosa, rivoluzionaria, che nasconde una motivazione storica fondamentale, perché Infancia clandestina non è un film sulla rivoluzione, è un film sull'intimità; sarebbe infatti anacronistico riportare le grandi gesta rivoluzionarie di Guevara sul grande schermo del grande pubblico (si vedano gli scarsi risultati di Soderbergh), perché semplicemente, come cantava Gaber, non è più il momento: in questi tempi di globalizzazione spersonalizzante, di grillismo sfrenato e qualunquismo revisionista, è l'intimità ciò che conta, poiché sola in grado di farci ritrovare noi stessi, di farci aver coscienza non più di ciò che oggi non siamo & non vogliamo ma di ciò che siamo & vogliamo.
Solo così torneremo a credere, non più in qualcosa che ora vediamo increspato, stanco, inattuale e inattuabile - il Das Kapital di Marx, il Mein kampf di Hitler - ma in qualcosa in cui vediamo noi stessi, in cui siamo noi stessi a tu per tu con noi stessi; per ciò è necessario ritrovare la nostra intimità, nascosta dietro i grandi ideologismi che resero schiavi i popoli & distrussero le rivoluzioni: per credere, e credere in noi prima dell'idea, della causa, della rivoluzione.
Carico i commenti... con calma