Sbagliando, s'impara.
Chissà quante volte avrete sentito questo frase. Oggi tocca a me ripetervela: sbagliando, s'impara. Cosa ci può essere di più sbagliato che rimanere stesi sul divano, pigri, col telecomando in mano a girare a vuoto i canali TV? Nulla. Eppure.........eppure può capitare per caso di finire su "Italia's Got Talent" proprio durante la presentazione di uno strano personaggio che di nome fa Benjamin Clementine: alto, di bella presenza, nero, giovane (26 anni), nato a Londra, cresciuto a Parigi, di origini ghanesi. Si accomoda al pianoforte a coda e lancia, come perle ai porci, una hit simil-pop dal titolo "London" dove la sua voce e le sue dita incantano, lasciandomi basito e stupefatto. "Ma cosa sarà mai? Gli sarà venuta bene! Il resto dell'album farà schifo!" dico fra me e me. M'incuriosisce, approfondisco.
Recupero in breve tempo "At Least For Now", pubblicato a gennaio 2015, con una copertina blu molto rigorosa sulla quale Beniamino pare tendere a un monolite rosso (una porta verso qualcosa?) di kubrickiana memoria. Non l'avessi mai fatto! Rimango intrappolato nella sua musica come un amante legato al letto con le manette. E' un piacere profondissimo, riesce a toccare tutte le mie corde (non esageriamo, non proprie tutte!), mi accarezza l'anima (solo l'anima, mi raccomando!), mi smuove i sentimenti. Sono suo, maledizione!
Undici pezzi, uno più trascinante dell'altro, un paio di leggere cadute nelle ballatone semplici-semplici "The People and I" e "Gone", non perchè siano brutte ma perchè le altre sono fuori dall'ordinario. La sua voce black sfuma nei mille colori dell'arcobaleno, il piano non è mai banale, ogni attimo illumina uno scorcio diverso del panorama placido e notturno parigino. Gli archi non sono mai fini a loro stessi, ma preparano il terreno per far crescere le emozioni. E poi ci sono pezzi come "Cornerstone", la pietra miliare "Condolence", la cavalcata "Nemesis" che rilasciano un'aura di bellezza degna del miglior Botticelli.
Album romantico, moderno nel down-tempo di "Winston Churchill's Boy", saturo di sensazioni alla James Blake ma senza l'aiuto dell'elettronica, pulito e raffinato, somma dei suoi due primi EP ("Cornerstone" e "Glorious You") e di qualche inedito. Album che si affaccia al grande pubblico e pure a quello più fighetto e snob del mondo jazz per la libertà di esecuzione al piano ma, soprattutto, nella meravigliosa irregolarità e frenesia della voce (ascoltasi "Then I Heard A Bachelor's Cry").
Brutti, sporchi e rozzi rockettari.....abbiate pietà di me.
Adios...
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