Benny Green è un pianista. Una delle giovani stelle del jazz americano. Ha un aspetto che non ci scommetteresti un centesimo, con quel viso da scolaretto timido, ma è bravo. Anzi bravissimo. E' cresciuto artisticamente in quella straordinaria fucina che è Berkeley e si è subito messo in mostra accompagnando Betty Carter e poi inserendosi negli Art Blakey’s Jazz Messengers.
Quello che a me piace di Green è il suo stile. Che io definirei gioioso, assolutamente divertente. Sembra di risentire il jazz-blues di Bobby Timmons, con uno swing tirato e irresistibile. Il vero ispiratore di Green è però Oscar Peterson, In comune hanno, oltre la velocità esecutiva e il forte senso ritmico della sincope e del contrattempo, il medesimo feeling per la melodia, così sapientemente “rigirata” tra gli arpeggi. Quelle incredibili scale di accordi a otto dita, che corrono su e giù come un gatto dispettoso sulla tastiera, non costituiscono mai sterile sfoggio. ma generosi slanci verso il divertimento espresso in note. Ed è lo stesso Peterson che lo acclama vincitore del Glenn Gould International protege prize in music di Toronto. Pochi mesi dopo, Green vince il primo premio tra i pianisti del Jazz Times Readers Poll. Brown. Vengono così sigillate le sue credenziali e si assicura la stima da parte della severa critica americana. Al suo attivo ha decine di collaborazioni come sideman, ma ultimamente ha sfornato in solo, e in duo con Russel Malone, degli autentici gioiellini.
E quello recensito è uno dei miei preferiti: 11 interpretazioni di brani immortali più un brano originale, Green’ s Blues. Green non è un innovatore, una “voce nuova” nel panorama del jazz pianistico. Il suo approccio non è cerebrale ma immediato, quasi umoristico. Riesce a trasmettere la solarità e il piacere di un suono un po’ classico da stride piano, con accenni ragtime, figurazioni boogie e soul. Ma Green non è un nostalgico; è anzi perfettamente integrato nel jazz attuale. Dall’ascolto delle sue produzioni (vedi ad esempio il trio al Village Vanguard) sentiamo un musicista completo, eclettico e straordinariamente dotato, capace di muoversi a 360 gradi nel jazz di ieri e di oggi.
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