Di film su Bukowski non è particolarmente ricca la cineteca internazionale e forse è meglio così, constatata l'immensa difficoltà nel trasporre filmicamente i complessi lavori del "grande sporcaccione". Trasporre peraltro con un minimo di coerenza alla verace filosofia bukowskiana, costruendo trame perlomeno verosimili ai testi originali e soprattutto catturare l'essenza di uno scrittore che in un banale blockbuster da piovoso sabato sera sarebbe inscenato dall'omuncolo beone, sfaccendato e mangiafemmine. Ci aveva provato anni addietro il famoso cineasta Ferreri che, coraggiosamente, si era buttato a capofitto nientepopodimeno che nell'opera più scaltra e ardita dell'autore, ovvero Storie di Ordinaria Follia. Il risultato, a mio sindacabilissimo giudizio, fu una deludente pellicola che neanche raggiungeva lontanamente le vette della celeberrima raccolta di ministorie, una mesta riduzione di un capolavoro ingiustamente ridimensionato a qualche sbevazzata, amorazzo estemporaneo e precarietà lavorativa. Storie di Ordinaria Follia, autentico compendio di una mente incompresa e mal stilizzata nell'immaginario cultural-popolare, ha pertanto trovato un ingiusto trattamento cinematografico a dir poco riduttivo, semplicistico, populista e bonario, lontano anni luce dalla lugubre e sordida anti-luminescenza riflessa negli splendidi capitoli del volume.
Dopo la mediocre proposta di Storie di Ordinaria Follia, nel 2005 è stato il turno di Factotum, adattamento dell'omonimo romanzo voluto dal meno noto Bent Hamer. A differenza delle Storie, del Taccuino e delle altre collezioni di racconti, dominate dalla perversione carnale, dalle avvenenti e disponibili femmes fatale di strada e dall'immancabile fiume alcoolico di accompagnamento, Factotum illustra il (fallimentare) curriculum professionale-impiegatizio del solito Henry Bukowski (celeberrimo alter ego dello scrittore) piuttosto che la bollente ruota del sesso sfrenato in perenne rotazione nelle altre opere. Chinaski, scrittore in sordina, passa da un lavoro all'altro, da una catena di montaggio all'altra, permanendovi, a causa della sua negligenza e insofferenza all'iper razionale stasi della fabbrica, pochi giorni o addirittura poche ore. Il tutto condito da una vita amorosa ben poco appagante, qualche donnaccia disponibile e una compagna, Jan, con la quale conviderà più dolori che gioie, pur stabilendo un rapporto inspiegabilmente duraturo.
Confrontando Factotum con le Storie di Ordinaria Follia, si può addurre la maggiore semplicità del regista nel trattare filmicamente il primo rispetto al secondo e forse questo può spiegare la superiorità stilistico-contenutistica della versione di Hamer rispetto al lungometraggio di Ferreri. Sebbene non possa vantare il curriculum e la notorità del cineasta italiano, Hamer è riuscito a sfornare un film coerente all'opera, a proporre un cast di attori capaci di interpretare efficacemente i protagonisti, a inserire i dialoghi più significativi e a sintetizzare con grande professionalità la contorta, tuttavia geniale mente di Bukowski. Henry Chinaski, interpretato da un giovane e spigliato Matt Dillon (fatto che sdogana altresì la tradizione del Bukowski vecchio, attempato ed esteticamente in declino), è la quasi perfetta trasposizione su pellicola dell'analogo libresco, l'uomo sommesso da una estenuante creatività interiore che gli impedisce, quasi a proteggerlo, di piegarsi all'ignominia della deumanizzazione industriale, del taylorismo bestiale e delle fabbriche di cetriolini, drogandolo con l'elisir bene-vanefico dell'alcol, l'unico escamotage dal finto american dream e dalla fasulla good way of life tanto promessa e decantata dal capitalismo e dai suoi propugnatori.
L'unica pecca, comunque risibile, del Factotum di Hamer è la mancata attinenza cronologica fra lo scritto e il film che magari può provocare un lieve sentore di smarrimento a coloro che hanno già divorato le pagine di Bukowski e attendono l'esatta e minuziosa versione video. Questa piccola fragilità è comunque compensata dall'intelligente coerenza del regista nel saper allacciare e collegare le deviazioni dal libro, andando a creare una storia riarrangiata e rimaneggiata, tuttavia ortodossa nel presentare i punti salienti del romanzo.
Ripresomi dalla debacle di Ferreri, sono finalmente riuscito ad apprezzare un Bukowski cinematografico, fedele al personaggio, rigoroso nel copione e poco avvezzo a rivisitazioni bonarie, blande e semplicistiche. E questo per dimostrare come un piccolo regista, magari lontano dai red carpet e dalla conquista dei botteghini, sia stato in grado - restando nella sua personale e singolare nicchia anti blockbuster - di captare squisitamente gli umori, i sapori e gli odori di un lavoro magari politically (e morally) incorrect, tuttavia eloquente e affascinante nel mitizzare un'epoca letteraria degna di essere recuperata con tutti i suoi ingredienti base e le relative e irrinunciabili salse di contorno.
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