Recupero piccoli gioielli.

Helen studia all'università ed è in procinto di produrre una tesi sul folklore e le credenze contemporanee. Scopre la storia di tale Candyman, uomo assassinato che tornerebbe per uccidere le sue vittime con un uncino, squartandole dalla gola all'inguine. Per farsi venire a trovare da questa amorevole creatura basta ripetere il suo nome per cinque volte allo specchio.

Ispirato a "The Forbidden" di Clive Barker (che è anche produttore), "Candyman" è uno di quei titoli dell'orrore degli anni '90 che prima hanno fatto parlare il pubblico e poi, passati gli anni, si sono andati pian piano a perdere nel dimenticatoio. La fortuna all'epoca probabilmente fu dovuta alla storia narrata: uno che squartava gente, ma che richiamava gli adolescenti del periodo, nell'era in cui dire cose allo specchio metteva paura per leggende che si sentivano anche nelle nostre scuole. In più, la protagonista, interpretata da una Virginia Madsen bona come poche, portò molti giovani al cinema.

La particolarità del film sta nel suo essere un intrattenimento orrorifico girato con rara grazia e con elementi inusuali per l'horror dell'epoca. Come non citare la folgorante colonna sonora curata da Philip Glass e quel piano terrificante? Già solamente quelle note basterebbero a dare un punto in più alla pellicola. Ma anche il lavoro di Bernard Rose merita elogi: l'alternanza tra primi piani e campi lunghi sulla città da forza ad una scelta particolare, quella di prediligere un'ambientazione metropolitana ed estremamente fredda, alla "Rosemary's Baby", rispetto alla proverbiale oscurità claustrofobica del genere horror.

Folklore, credenze e suggestioni che Rose utilizza anche per raccontare il razzismo delle metropoli americane: "luomo nero" è nero, la ghettizzazione degli afro in quartieri degradanti come il Cabrini Green, luogo delle ricerche di Helen, nonchè quel racconto dell'intima diffidenza tra bianchi e neri che viene ben rappresentato dalla ragazza madre che diffida dei bianchi e di Helen. In questo senso il finale diventa redenzione, superamento di barriere, con quella lunga processione afro che sta a testimoniare un ribaltamento di mentalità e il superamento di quella condizione di paura che prima era ben lecita.

"Candyman" ha una trama che scade più volte nel bambinesco e ogni scena davanti allo specchio finisce per strappare un sorriso. Allo stesso tempo ha spunti di rara originalità (dato anche il genere) e non disdegna un'incursione nel giallo, lasciando allo spettatore qualche facoltà di inventiva sulla reale sanità mentale di Helen. Di certo il film di Bernard Rose non è un capolavoro, ma è una di quelle pellicole che meritano di essere riconsiderate anche alla luce dell'evoluzione (involuzione?) del genere di riferimento.

7,5

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