La recensione si basa sulla mia ultima visione del film, che risale a più di cinque anni fa. Mi avventuro quindi a descrivere le tracce e i ricordi che mi ha lasciato a distanza di tanto tempo: la crisi e la dissoluzione del rapporto di coppia, il fascino della solitudine, la paura e poi la scoperta dell'ignoto, il fascino del viaggio, la fragilità e al tempo stesso la complessità dei rapporti umani, l'abbandono al proprio destino.

Tutto questo, e molto altro, è il "Tè nel deserto", a mio personale giudizio il migliore dei film di Bertolucci. Devo aggiungere che il giudizio complessivo del film è fortemente influenzato dalla mia passione per Paul Bowles, uno dei personaggi forse meno noti della Beat generation (definizione che in effetti gli va un po' stretta), grande animatore di spiriti liberi e punto di aggregazione a Tangeri del ribellismo occidentale di quegli anni.

Il film, che rende assolutamente giustizia al libro, è sostanzialmente scomponibile in due parti: la prima è quella che racconta le vicissitudini del viaggio nel deserto di una coppia americana in crisi, accompagnata da un amico comune. La seconda è focalizzata sul rapporto con una tribù tuareg e conseguentemente è molto interiore - e conseguentemente molto più lenta (ammesso che questo lo si possa considerare un difetto) - della prima.

Il contesto di riferimento è quello dei primi decenni del secolo scorso, in cui pochi dandy e altrettanto pochi turisti danarosi, potevano permettersi il lusso di affrontare un viaggio scomodo, pericoloso ma straordinariamente affascinante come quello nel deserto nordafricano. La coppia in crisi è costituita da Kit e Port (interpretati dagli straordinari Debra Winger e John Malkovich), che sfidano sé stessi individuando in quel viaggio l'ultima spiaggia per recuperare le radici del loro rapporto e dimenticare l'incomunicabilità. Il film, soprattutto nella prima parte, è continuamente pervaso da questo malessere, dalla frustrazione di non riuscire più a capirsi, dalla disperazione di trovare invece ulteriori ragioni per allontanarsi.

Su tutto domina il deserto, raccontato come è. Il deserto costituisce il perfetto fondale della storia raccontata da Bowles, perché è un ambiente che non fa concessioni, non aiuta, non ispira romanticismi. Sembra quasi che accompagni, con la sua ostile estraneità, la dissoluzione del rapporto di Kit e Port. Di suo, Bertolucci aggiunge una fotografia sontuosa, che vale da sola il film, e una splendida colonna sonora.

In conclusione, cosa rende questo un grande film ? Secondo me è la capacità di Bertolucci di illustrare temi universali quali l'amore e la sue drammatiche implicazioni, il viaggio, inteso come proiezione visibile di un percorso interiore, e la morte, che, in un mondo straniero dove sono inutili ricchezza e gioventù, mostra il suo volto più crudele.

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