In una Roma ancora devastata dai problemi dell'ultimo conflitto mondiale, lungo le sponde del Tevere viene rinvenuto il cadavere di una donna, una prostituta. La polizia istruisce delle indagini a riguardo e assume come punto di partenza le deposizioni di alcuni individui che si trovavano sul luogo del delitto approssimativamente nell'arco di tempo in cui era stato effettuato. Il primo è "Il Canticchia", un giovane ragazzo che dichiara di aver attraversato a piedi la zona presso la quale la donna era stata assassinata poiché aveva un appuntamento con un prete che voleva offrirgli un lavoro, ma le immagini testimoniano che in realtà egli gironzolava nei dintorni per dedicarsi a piccoli furti al fine di garantirsi il pane in tavola. Il secondo è "Il Califfo", un uomo che grava sulle spalle di due maitresse. Afferma di essersi trovato sul luogo del delitto durante una passeggiata al chiaro di luna con la fidanzata, però, come nel primo caso egli mente: litigava con lei per motivi connessi a subdoli interessi. Il terzo personaggio è un militare di nome Teodoro che alla fine ammette di essersi ciondolato per tutta la giornata e di essersi addormentato su una panchina. Arriva il turno di Natalino, un friulano dagli strani atteggiamenti che accusa del crimine due adolescenti: Francolicchio e Pipito. I due vengono inseguiti dalla polizia e il primo nella fuga si getta nel Tevere, annegando. Attraverso la testimonianza di Pipito gli investigatori riescono a chiudere il caso con un prevedibile colpevole dalla mente turbata.
"Questo film è stato girato contro di me" diceva Pier Paolo Pasolini nel lontano 1962, non certo con intenti dispregiativi. L'intellettuale bolognese passa all'allievo Bertolucci il soggetto per "La commare secca" che esce nelle sale cinematografiche appena un anno dopo di quel capolavoro chiamato "Accattone". La pellicola è accolta con calore e trova il sostegno della critica nonché l'onore del plauso di Elsa Morante soprattutto perché riesce a stupire. Bertolucci ha solo ventuno anni quando gira il lungometraggio d'esordio (è il più giovane debutto nella storia del cinema italiano e, tra l'altro, il film si fece notare non solo alla Mostra internazionale del cinema di Venezia nel 1962, ma anche al London Film Festival e al New York Film Festival.) ma ha già una personalità valida alle spalle che gli permette di tradire il maestro. C'è poco Pasolini ne "La commare secca". Chi si aspetta lo sguardo indugiante sulle vicissitudini della classe operaia e proletaria delle borgate romane che Pier Paolo amava illustrare rimarrà infatti deluso.
Lo scenario di una capitale degradata sul quale si stagliano le figure tragicomiche del popolo minuto rimane una costante invariata ma lo scopo è un altro. Bertolucci ricalca il profilo psicologico di tutti i protagonisti riuscendo a fornire allo spettatore una galleria di ritratti umani fra falliti e frustrati, mezzane e anime perdute. Basterebbero soltanto le sequenze d'apertura del film per entrare in contatto con uno stile tecnico e un bagaglio di significati che nel cinema pasoliniano restano degli abbozzi, qualora non siano del tutto assenti. La cinepresa si accanisce sul corpo esanime della prostituta: un fagotto chiuso in stracci di poco valore privo di alcun elemento connotante, è un corpo morto. Il regista sembra quasi assumere un distacco freddo rispetto alla materia affrontata, come se volesse coinvolgere lo spettatore dalla parte degli investigatori. Gli indiziati che si susseguono negli interrogatori sono letteralmente sottoposti allo scrutinio del pubblico, capovolgendo così la prospettiva sotto la quale il suo maestro inquadrava i personaggi, legandoli al pubblico mediante un rapporto si stretta empatia.
Svanisce quindi anche la subliminale analisi sociale di un "Accattone": i testimoni mentono alla polizia riguardo il reale andamento dei fatti pur non avendo commesso l'omicidio ma semplicemente per nascondere altre attività illecite cui essi si dedicavano (taccheggio, sfruttamento della prostituzione, etc...), aspetto che per Pasolini sarebbe stato motivo di riflessione sulla condizione socio economica della popolazione umile italiana ma che in Bertolucci carica la pellicola di suggestivi connotati grotteschi. La regia sfrutta al massimo il potenziale del soggetto e della sceneggiatura. La narrazione è infatti impostata secondo dei flashback che riportano la deposizione dei testimoni che si intrecciano sapientemente nel corso della pellicola al punto da far perdere di vista la centralità dell'assassinio. Non sa purtroppo evitare alcuni fronzoli di palese matrice estetica specie nei momenti di maggiore pathos ed enfasi o quando focalizza l'attenzione sulle decadenti architetture dei quartieri più malfamati in netto stridore con la Roma del barocco. Sotto questo punto di vista bisogna però escludere la scena conclusiva in cui la polizia arresta l'assassino in un locale pubblico mentre è impegnato nel ballo (tema poi ricorrente in Bertolucci) con una ragazza, scena di calcata gravità ma che non annoia.
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