Nessuno dovrebbe negarsi la possibilità di incontrare la chitarra acustica di Bert Jansch, indubbiamente uno dei più grandi interpreti e personaggi del folk d'oltremanica. Oltre alle stupende opere con i Pentangle colui che venne definito da Neil Young il "Jimi Hendrix della chitarra acustica" ci ha regalato spesso e volentieri dei deliziosi lavori solisti.

"Jack Orion" del 1966 è un disco dal repertorio quasi interamente costituito da tradizionali (esclusa la firma di Ewan MacColl su un pezzo di elevata tensione strumentale, "The First Time Ever I Saw Your Face") rivisitati splendidamente da un artista in stato di grazia capace di restituirci in modo limpido e incredibilmente immediato una miscela di arrangiamenti, suoni e fantastiche tecniche fingerpicking che lambiscono il jazz nel suo significato più ampio ed evocativo. Accompagnato dalla chitarra di John Renbourn in 4 brani e sostituito da quest'ultimo nella iniziale "The Waggoner's Lad" in cui egli stesso riesce a donare un tocco di maestria al banjo (così come nel brano "900 Miles" presente in "It Don't Bother Me", ottimo disco immediatamente precedente a questo), Jansch costruisce l'intero lavoro intorno alla epica e dilatata rivisitazione della vicenda d'amore e tradimento della title-track, variante della "Child Ballad 67 Glasgerion" e brano simbolo per una generazione di folksinger coevi e posteriori così come la celebre "Black Water Side" da cui prenderà spunto Jimmy Page per "Black Mountain Side" e la nervosa "Nottamun Town", canzone molto popolare nei Monti Appalachi la cui melodia originaria è alla base della "Masters Of War" di dylaniana memoria.

Disco consigliatissimo a tutti coloro che apprezzano pienamente il flusso costante e positivo di sensazioni che questi dischi ci possono regalare.

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