Si potrebbe partire da un'afosa giornata d'agosto, in un cimitero sperduto sul limitare del Darby Creeck, dove Pennsylvania e New Jersey si affacciano sul Delaware River. É il 1970. Una Janis Joplin in postura solenne omaggia con una pietra tombale nuova di zecca quella che lei definisce "la più grande cantante blues di tutti i tempi", non sapendo che, di lì a una manciata di mesi, l'avrebbe raggiunta seguendo una tragica fine.
Il destino, a volte, gioca in maniera cinica e, nel caso di un'America protagonista dello scorso secolo, innalza prematuramente i suoi primi attori allo status di leggenda.
Bessie Smith era una di queste.
Ma non era assolutamente la dea innalzata sul volgo e incurante degli eventi: era lo spirito del suo tempo, toccata dalle vicissitudini del suo mondo fino al midollo, sperimentando sulla propria pelle i paradossi di una nazione affacciatasi sul ventunesimo secolo.
Il blu, da George Colman fino agli spiritual dei neri d'America, è il colore dei malinconici, dei sofferenti. Il diavolo blu che attanagliava Bessie Smith era forse lo stesso che guardò Robert Johnson dritto negli occhi, che aspettava paziente in qualche stradina immersa nel profondo sud.
Come un astro lanciato a velocità folle sull'arcata celeste, brillando di una luce troppo intensa per permetterle di vivere a lungo, Bessie Smith aveva saputo afferrare quel ruolo di protagonista che l'accompagnerà per tutto il corso degli anni venti. L'epoca d'oro del Blues e del Jazz ne renderà per sempre grazie. Capace di influenzare una generazione di cantanti che farà la storia degli anni a venire (la stessa Janis Joplin a cui si aggiungono Billie Holiday, Etta James, Ella Fitzgerald, per citarne solo alcune), questa voce del Tenessee ha saputo imporsi come baluardo inarrivato nel dare espressione al blues più agrodolce ed elegante che esista.
Cominciò ad esibirsi già nel 1913, anche se il successo arrivò con le incisioni dei primi anni venti, tra cui una versione di "Downhearted Blues" del 1923 (anno in cui la Smith firma per la Columbia). Questa traccia apre la raccolta presa in esame, quasi a voler fare da apripista al periodo d'oro della Smith. Sarebbe comunque difficile non citare tutte le sedici tracce di questa raccolta del 1989. "'Tain't Nobody's Bizness if I do" è di una bellezza disarmante, "St. Louis Blues" (traditional eseguito in coppia con Louis Armstrong) scende dolcemente fino a toccare le corde più intime e nascoste, "Gimme A Pigfoot" non ha nemmeno bisogno di parole che la descrivano. Ogni singola traccia attesta una fascinazione estetica senza pari, documento di un'epoca che suona lontana, ma che riesce tuttora a svettare incontrastata su quanto le si accosta. Una menzione del tutto speciale andrebbe a "Nobody Knows When You're Down and Out", brano del suo ultimo periodo. In poche parole: la sintesi della composizione perfetta, la gemma preziosa che in futuro tutti vorranno emulare, ma che rimane incontrastata a segnare un percorso inarrivabile.
La raccolta qui presentata, pur nella sua ammirevole capacità di sintesi, taglia fuori alcuni dei pezzi migliori della Smith. Brani quali "Safety Mama", "Take it Right Back", "After You're Gone" e "Alexander's Ragtime Band" andrebbero sicuramente recuperati. Rimane il fatto che, in questa raccolta, viene riportato adeguatamente il suono di un'epoca grazie ad una voce che, in ogni singola sfumatura, riesce a dare la sensazione del sublime, dell'irraggiungibile (come forse solo Etta James in "At Last" riuscirà a fare in seguito).
La crisi del '29 portò, purtroppo, alla chiusura di molti dei locali in cui il Jazz ed il Blues avevano fatto la loro fortuna. Di conseguenza la luce di cui Bessie Smith risplendeva andò affievolendosi, seguendo poi una discesa burrascosa che la porterà ad una tragica morte nel settembre del 1937. Bessie Smith lasciò questo mondo dopo una vita travagliata, messa alla prova più volte dalle avversità che la circondavano.
Morì come una stella, lasciando un bagliore destinato a diffondersi per anni, come un immobile baluardo.
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