Una delle saghe più amate dai videogiocatori al suo apice. L'uscita di "The Elder Scrolls III: Morrowind" è stata acclamata come evento nel mercato dell'intrattenimento per PC, e a ruota giunsero premi e riconoscimenti quale "BEST RPG OF 2002", "GAME OF THE YEAR" e complimenti vari, per la gioia dei programmatori di questo colossale giocattolo.

Se Arena, il predecessore, aveva impressionato per l'ampiezza delle ambientazioni e Oblivion, il quarto capitolo, era una gioia per gli occhi, questo "Morrowind" rimane il (quasi) perfetto sodalizio tra giocabilità, eleganza e longevità dell'avventura.

L'avventura inizia con l'approdo, dietro gentile scorta delle guardie imperiali, in un villaggio sperduto nel Sud del continente di Vvanderfell, un'immensa isola dall'eterogenea morfologia.

Dopo aver sbrigato le formalità di ogni GDR fantasy (sesso, razza, classe del personaggio), si esce ad affrontare il mondo virtuale. La trama principale ha già il primo capitolo, ma il giocatore ha la possibilità di ignorarla completamente e gironzolare per campi, cripte, palazzi e rubare, uccidere a piacere o su commissione, raccogliere ingredienti alchemici, partire in pellegrinaggio, affiliarsi a gilde più o meno losche.

Questo duraturo errare (è possibile giocare per un centinaio di ore e trovare ancora qualche anfratto inesplorato o un passante in cerca di aiuto) è coadiuvato da un comparto tecnico che non sorprende più (causa alcune textures grossolane e la staticità del paesaggio) ma che può essere ancora apprezzato per gli scenari ampi, i paesaggi notturni sotto il cielo stellato e le tempeste di sabbia delle valli desertificate. L'audio è poco invadente e funzionale a reggere l'atmosfera nel complesso.

Non tutto è così riuscito, però: se da una parte gli incarichi e gli ambienti sono numerosissimi (considerando poi le due espansioni di supporto al gioco), si passeranno alcuni tempi morti in cui l'avventuriero, vagando a vuoto tra i villaggi, si domanderà cosa fare. Un importante punto dolente sono i combattimenti: se non fosse per il largo uso di incantesimi a disposizione, la lotta si fermerebbe al click ripetuto del mouse, fermi come manichini l'uno di fronte all'altro; inoltre, le creature "intelligenti" che si incontreranno lungo la storia non avranno una personalità, o quantomeno una caratterizzazione sufficientemente curata: per esempio il guerriero Nordico incontrato alla locanda ripeterà spesso e volentieri le stesse quattro frasi della sarta Elfica.

A dispetto di ciò, bisogna dare i giusti meriti ai programmatori di Bethesda Softworks: ricreare con cura dei dettagli città nel deserto, villaggi di pescatori e golfi abitati da strane creature, lasciando nel contempo al giocatore la scelta di affrontare l'avventura in qualsiasi ordine e modo, e permettendo anche al novizio di apprendere velocemente le basi di gioco, rimane una scommessa ampiamente vinta.

Il successivo "Oblivion" snellirà certi aspetti e affinerà la tecnica impiegata nell'opera, rimanendo una buona minestra riscaldata. Il vero capolavoro sulle stesse basi si avrà con "Fallout 3", che esulerà dalle usurate atmosfere fantasy/fiabesche.

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