"Il fatto che abbiamo controllato poco gli strumenti musicali ha avuto molto a che fare con il nostro suono."
Anche se sono Slovacchi l'atmosfera horror lugubre kafkiana che montano su con le loro composizioni calza perfettamente con l'alone distorto che permea l'invisibile di Praga. Le vibrazioni sonore possono confondersi con le voci che uno sente scappare dalle pareti di quei vecchi palazzi che hanno registrato al tempo il passaggio del Golem. "Tutto ciò che sapevamo era che non volevamo cantare i testi di amore e pace di cui tutti cantavano allora." E chi vi manda?

Le voci si sentono, ve lo assicuro, specialmente al crepuscolo, quando le ombre si allungano come artigli e tutte le superfici diventano un'infinita mirror room. La labirintite fa a cazzotti con la mezza sbornia da birra che sdoppia tutto in sibili post Ussiti. Tutto è d'oro e nero. C'è l'angoscia di una consapevolezza di una realtà parallela che ci comanda, la sorpresa di osservare i nostri pensieri e di non riconoscerli nostri, la disintegrazione delle nostre sicurezze all'accorgersi assunti da entità poco di buono. La musica ci rende partecipi dell'efferatezza del patema d'animo indotto, della trappola perfetta, dell'ego depistante che inganna la retta via.

Musica ritmica e cacofonica e testi ferocemente metaforici, dissidenti al midollo insomma che attraverso un puro underground innalzano un rifiuto categorico alla "normalità" di una vita pesantemente influenzata da dettami comportamentali: "Píšte všetci modrým perom, iná farba nebude" (Tutti scrivono con una penna blu, non ci sarà altro colore), in una canzone dell'album. Messaggeri dell'avvertimento per contrastare chiamate di perdizione, i "senza armonia né ordine" ti inseguono, ti braccano, sgamano presenze inquietanti che appaiono proponendoti una sottile capitolazione: è una tattica per attirarle per una defenestrazione liberatoria.

Nevrotiche ballate smascherano le possessioni in atto, fulgidi acquerelli di catrame scartavetrano sicurezze effimere per gettarci in una visione reale delle nostre menzogne: "Se vuoi incontrare una persona, dagli una funzione", si sente in un altro pezzo. La giostra spettrale dei cavalli imbellettati dalla nostra vanità cola pece che appiccica sempre più le nostre illusioni e incolla il miraggio delle piume di una fenice. Risorgiamo in paludi maleodoranti, la distorsione è eclatante, nuotiamo in un mare annegante. Come un'asma perenne abbiamo sete d'aria ma ci resta da respirare esalazioni fetide di cloache millenarie.

Ci avvolgono atmosfere psichiche dove la speranza non è di casa. E come un cabaret estraniante la voce ci parla del velo che dovremmo strappare, allucinante e allucinatorio è il prospetto del peggioramento della caduta. Nenie metifiche accentuano lo sprofondamento in sabbie mobili indotte, pur restando poco distanti da una parvenza di rock. Non resta che simulare un patteggiamento e distrarre i carnefici per poi non nutrirli più con la nostra sofferenza. Aver sempre presenti e sentire quei coinvolgimenti che ci mantengono nel negativo e provare, con l'aiuto di quel sassofono anarchico, di diventare più fastidiosi degli indesiderati visitatori. Rigirare lo sfiancamento verso di loro per provocare un abbandono per disperazione, proponendo le loro stesse ipnosi attraverso un suono patologico.

Quel "mal di vivere" che la musica trasmette, l'attrito della presenza del rumore, è un compendio essenziale per sfanculare i capricci personali e proclamare una guerra spietata alle possessioni che ci identificano. Una bella sveglia aspra è quello che ci vuole e 'sti ragazzi la scampanellano ben bene.
Nejlepší československá kapela!

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