Settembre 2010: la grande notizia viene pubblicata tramite Mike Peters degli Alarm. I Big Country effettueranno un mini tour di 7 date per celebrare il trentennale della prima tournee. Non posso non partecipare. Biglietteria online, volo, hotel, e tutto quello che ora bisogna fare è attendere il regalo della Befana. Che puntuale, arriva. Sono stata una brava bambina!

L'emozione è immensa. Torno ad un concerto del mio gruppo del cuore dopo quasi 25 anni (Modena 1986). Cosa succederà? Mike Peters sarà all'altezza della memoria di Start Adamson? Chi ha amato i Big Country non può non aver amato gli Alarm, e la sottoscritta si fida ciecamente, nonostante le voci dei due siano abissalmente differenti. Quella di gola, rauca, ("da uomo") di Stuart, e quella argentina e sorridente di Mike potranno dare gli stessi brividi?

La risposta arriva dopo un'ora di buona musica introduttiva. Un giovane gruppo "cornovagliese" folk (i Crown) e il rock-blueseggiante di un accrocchio di anzianotti (The Dirty Strangers) assolutamente eccezionale.

Subito dopo, il batticuore. I Ragazzi escono. Quattro cinquantenni e un ragazzino (Jaimie Watson, degno figlio di Bruce) su un palco scarno in un piccolo locale di Islington, Londra. Il cicciottello biondo al centro fa un po' impressione, una buonissima impressione. E quando la musica comincia, eccoci, ci siamo.

Partono i pezzi classici, 1000 Stars, Harvest Home, Driving to Damascus (la più recente delle canzoni della serata), The Teacher, Just a Shadow, Look Away, e qui ci fermiamo. Con un po' di emozione, Mike comincia a parlare del suo primo incontro con la band, poi estrae una vecchia copia di "Amazing Stories" e, per spiegare chi fosse e quale sia la canzone che più rappresenti Stuart Adamson, legge un brano di H.G. Wells datato 1895, il finale di "Pollock and the Porroh Man". Partono le chitarre. Qualcuno, anche sul palco, piange. Mike scompare. Parte anche il basso di Tony Butler. Mark Brzezicki fa mulinare le sue 6 braccia e 4 gambe. Poi Mike comincia a cantare. In mezzo a noi. A due braccia da me. La chitarra di Bruce Watson non ha la magia di quella di Stuart, ma è lo stesso meravigliosa. Mike torna sul palco. E' un delirio di salti, tutto il parterre comincia a passare da un lato all'altro del locale, dalla mia posizione a circa 5 metri dal palco mi ci ritrovo praticamente sotto. E tutti cantiamo e saltiamo, insieme. 

Si ritorna alla sanità mentale (forse) con Inwards, poi East of Eden e Steeltown, The Storm, Wonderland. Come al solito, veri professionisti, i Big Country e Mike cantano, suonano e saltano per quasi un'ora e mezzo. Ogni tanto, Mike confonde i testi delle canzoni, ripete strofe, perde pezzi dei ritornelli, ma Tony Butler, e noi, siamo lì a cantarle giuste, e poi, chissenefrega, seguiamo lui nei ritornelli incasinati, non importa, è bellissimo, saltiamo e sudiamo e cantiamo tutti insieme, quel gran corpaccio che è l'audience di un concerto di buon rock'n'roll. Ci pestiamo i piedi, ci diamo pacche sulle spalle, ci sorridiamo. E quando guardi sul palco, gli sguardi dei Ragazzi che girano intorno, e hai la sicurezza che ci hanno fissati negli occhi uno per uno, e che si ricorderanno delle nostre facce.

Fa caldissimo. Pausa. Si spegne tutto, e parte il classico "here we go" in coro del pubblico. Dopo qualche minuto di buio, eccoli ancora. Encore, prima parte.

Lost Patrol, Chance, Fields of Fire. Niente da dire. La magia è sempre la stessa. Ma non può finire così. E fuori, ancora, per Restless Natives e il gran finale, In a Big Country.

Che dire, sudata, senza voce e felice, un'ora e tre quarti di giubilo. Non credevo sarei mai più riuscita a sentire i Big Country in concerto, ed invece, eccoci qui, a recensire una serata memorabile, un'emozione fortissima, pari a quella del 1986. La scelta dei pezzi suonati è stata favolosa: tutti i brani più vecchi e significativi ottimamente interpretati da un Mike Peters in stato di grazia.

Sì, ce l'ha fatta. I Big Country avevano pensato di non suonare più insieme dopo la morte di Stuart, poi per un po' si sono esibiti con Tony Butler come ottimo cantante e, quest'anno, grazie a Bruce Watson (che ha partecipato ad un evento organizzato da Mike Peters) abbiamo avuto un ottimo guest lead vocalist in MP. Che ricordiamoci, ha appena superato una dura lotta contro il cancro. E da allora, si è tuffato in una marea di attività, dalla fondazione Love Hope Strength che si occupa di raccogliere fondi e incentivare la donazione del midollo, oltre ai meravigliosi concerti post trekking sulle maggiori montagne del globo.

Scrivendo la recensione sto riascoltando il concerto (grazie all'organizzazione che, in collaborazione con simfylive mette a disposizione dei fans a fine evento una chiavetta con la registrazione del live) ed il batticuore continua. Un'esperienza meravigliosa, da ripetere ancora, e ancora, e ancora.

I Big Country sono dei grandi musicisti, che hanno sviluppato tecniche nuove e particolari di utilizzare gli strumenti (primo su tutti l'utilizzo dell'e-bow, l'archetto elettrico, che da' l'inconfondibile suono scozzese alle ballate classiche) e sanno ancora creare quella "certain chemistry" dei primissimi anni '80. E Mike Peters è un grande cantante, con un gran cuore ed un'umiltà che pochi sanno dimostrare, chiedendo più volte scusa per non essere all'altezza di "quel ragazzo". 

...per chi volesse, nuove date in arrivo in primavera!      

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