Prendo in mano questo disco e guardo un momento la copertina...
Subito saltano all'occhio non due, non tre, ma... quattro chitarre, giusto per farci capire che non è un disco latino.
Poi il gruppo si chiama Big Guitars from Texas con la sagoma dello stato del Texas appena sotto, alè, più emblematico di cosi si muore.
E poi, da sfondo alla fotografia, rottami e ferraglia ben esposta al sole.
Già prima di mettere la puntina sul disco ho capito di essere di fronto ad un disco se non altro di stampo blues, un pò desertico e assolato, ed ovviamente l'ascolto non tradisce quasi nulla. Anche oggi, l'abito fa perfettamente il monaco.
Un primo brano grottesco che sembra (ma è una mia impressione) scimmiottare i twist anni '60 (Twist and Shout e compagnia bella per intenderci), ma poi ecco che va subito a pescare a piene mani dal calderone boogie e country/garage proprio di quegli anni, infilando anche un medley che comprende tra gli altri Ghost riders in the sky.
Groovus e Sunburn scivolano via bene, la seconda pienamente in mood con il titolo, arida e desolata; quasi sorprende il finale del primo lato Alamo Beach, un breve episodio che a sorpresa incastra alla perfezione un riff boogie in 5/8.
A proposito di riff, Holiday For Hoss rimane quello che ho preferito, a mio parere il momento più alto del disco, e pure il boogie in minore di Hardy Street chiude degnamente questo dischetto.
Interamente strumentale, le atmosfere ricreate richiamano gli anni degli Shadows e di Johnny Cash. I nomi nel retro di copertina non sono molto conosciuti, quasi tutti di Austin, anche se mi salta all'occhio il batterista Mike Buck, che dimostra una disinvoltura invidiabile nel genere.
Ora che ne ho scritto, dovete cercarlo, siccome su internet non ho trovato quasi nulla, youtube mi da un solo video, e spotify non credo li abbia in considerazione. Disco probabilmente di scarsissima popolarità, dimenticato e di certo poco innovativo.
Recensione scritta a caso. Poteva essere evitabile, ma il disco non c'era.
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