Senza nulla togliere alla recensione già presente, credo che un disco di questo spessore meriti più delle poche righe che gli son già state dedicate.
Gli appassionati di Rap conosceranno senz'altro il personaggio in questione: Big L, rapper dotato di un flow da paura, membro della storica crew D.I.T.C., che annovera tra gli altri pesi massimi della scena newyorkese come Lord Finesse, Showbiz & A.G., il mai troppo osannato produttore Buckwild e O.C., altro liricista talentuoso ma mai asceso alla fama che avrebbe meritato. Non mi dilungo sulle circostanze della tragica scomparsa dell'MC titolare del suddetto disco, vi basti sapere che alla sua uscita nel 1995 fu accolto molto freddamente, vendendo così poco da spingere la Columbia a lasciare L senza contratto. E a chiunque vi abbia appoggiato la puntina almeno una volta sorge spontaneo andare a cercarne le cause: non una delle quattordici tracce qui presenti mostra il minimo cedimento stilistico, le produzioni ad opera di Finesse, Buckwild, Showbiz e tale Craig Boogie (onestamente non so chi sia ma spacca) non scendono mai sotto il livello dell'eccellenza, e Lamont Coleman (questo il vero nome di L) ne fa ottimo uso rappandoci sopra usando un flow bellissimo, inconfondibile e riconoscibile dopo il primo ascolto, metriche funamboliche e liriche infarcite di un'ironia tagliente.
La pratica di recensire track-by-track può risultare odiosa ma francamente mi risulta difficile evitarla davanti ad un tale numero di virtuosismi. Si parte alla grande coi singoli "Put It On" e "M.V.P." (acronimo di "most valuable player" usata in ambito sportivo, che qui viene trasformata in "most valuable poet"), parentesi autocelebrative che indubbiamente possono far risultare il ragazzo un pò troppo sicuro di se', ma ad ascoltarlo c'è da dargli parecchio credito. La prima è arricchita da un Kid Capri infottatissimo che incita a squarciagola L nel ritornello e da un'improvvisa incursione reggae a 2:04 circa (che ci sta come il cacio sui maccheroni), la seconda per il beat si avvale dello stesso campione di "Stay With Me" usato per il remix di "One More Chance" di Notorious B.I.G.. Si passa quindi a "No End No Skinz", dove su una bellissima produzione dal gusto decisamente Jazz/Funk l'MC spiega come le fanciulle siano attratte maggiormente da chi dispone di abbondanti risorse finanziarie.
Il trittico "All Black", "Danger Zone" e "Street Struck" costituisce la parte più hardcore dell'album, caratterrizata da suoni cupi e liriche crude in cui Big L esalta la sua fama di "poor e dangerous", spinto dall'urgenza di lasciarsi alle spalle una vita di illegalità e violenza, condendo il tutto con una notevole dose di strafottenza, generata forse dalla consapevolezza di una posta in gioco molto elevata dipendente dall'esito del disco. Non si possono poi non nominare le due posse cut qui presenti: "8 Iz Enuff" e "Da Graveyard" che ospitano un buon numero di amici e conoscenti (i più noti senz'altro Killa Cam -oggi Cam' Ron- e Jay-Z) chiamati a raccolta per demolire verbalmente qualunque altra combriccola di rimatori. Giungiamo così alla titletrack, che su di un tappeto sonoro oscuro ed ipnotico trasporta l'ascoltatore direttamente nelle strade di Harlem. A me personalmente questo pezzo fa venire i brividi, il disincanto della voce di chi ha vissuto così a lungo in una realtà disumanizzata dalla povertà da non riuscire a vedere alternative ad una vita di espedienti mi lascia sempre una certa malinconia di fondo, inoltre le immagini utilizzate dal rapper per descriverla sono incredibilmente evocative. Il "What kind of life is this for a child?" campionato nel finale lascia semplicemente una stretta al cuore, indipendentemente da quanto possa essere sincero.
Consiglio a tutti di procurarsi la versione su vinile per poter gustare anche "Time Iz Hard" e "Devil's Son", tracce antecedenti qualche anno l'uscita dell'album ma che già mettevano in risalto le enormi capacità narrative e d'intrattenimento di Lamont. La seconda in particolare ha un gusto smaccatamente horrorcore ed esibisce alcune delle rime più grottesche che ricordi di aver mai sentito su un disco Rap. La chiusura di questo classico dell'Hardcore Rap viene affidata a "I Don't Understand It", che demolisce ulteriormente (come se dopo quaranta minuti di punchline da antologia ce ne fosse bisogno...) la competizione con gli MC poco capaci, "Fed Up With The Bullshit", decisa presa di posizione nei confronti delle forze dell'ordine (che accusa di razzismo) e "Let 'Em Have It L", sulla falsariga di "Put It On". Nel caso non si fosse capito adoro letteralmente questo disco e non posso fare a meno di consigliarlo a tutti. Dando per scontato che gli amanti del Rap se lo siano già procurati da tempo, il consiglio è rivolto maggiormente a chi magari si è avvicinato da poco al genere o intende avvicinarvisi ma non sa da dove partire.
L'unico rammarico che mi lascia l'ascolto è dato dal pensiero che purtroppo Big L non ha avuto modo di di sfornare un degno successore di quest'opera essendo prima rimasto senza contratto e di lì a pochi anni scomparso. La dura realtà di criminalità e grilletti facili che traspariva dai suoi testi finì per coinvolgerlo fatalmente. La terra ti sia leggera Lamont...
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