Caro XXX,
la sfida che mi hai lanciato non mi entusiasma granché. Mi pare un po' troppo semplice e scontato recensire un album di Bill Callahan. I suoi album non dovrebbero essere recensiti, andrebbero solo ascoltati. Bisogna fidarsi a volte, lasciarsi andare, rischiare. E per "Dream River" il rischio è veramente minimo a fronte del premio finale. Si rimane a bocca aperta mentre scorrono gli otto pezzi dell'album. Si rischia persino di arrivare all'estasi con "Javelin Unlanding" e "Ride My Arrow", due canzoni da dieci e lode. Il resto è di altissimo livello dove la classica "formula" di Bill Callahan, vocione baritonale parlato, chitarra e poli strumentismo folk-rock, non risulta mai pesante o ripetitiva.
E' un album ricco e minuzioso, dalle mille sfaccettature, molto ricamato grazie ad arrangiamenti soft ma incisivi. Particolare attenzione viene prestata alle ritmiche che giocano un ruolo fondamentale per non appesantire la sua narrazione fatta di piccole storie legate alla quotidianità e alla ripetitività della vita di tutti i giorni. Album straordinario di un autore straordinario che da 25 anni regala musica ed emozioni che ben pochi altri riescono a offrire. Un album breve da ascoltare a lungo, musica "realista" spruzzata di sano "naturalismo". "Dream River" mi piacerebbe ricordarlo come "Le Quattro Stagioni di Bill Callahan" ("Spring", "Summer Painter" e "Winter Road"), nonostante manchi l'autunno. Ma è bene ricordare che "Dream River" è prettamente autunnale, dell'autunno migliore, quello che colora i boschi, che rinfresca al mattino, che regala ancora un minimo di calore solare. E' un album da ascoltare vicino al fuoco mentre le castagne scoppiettano e il vino rosso ti colora le guance. E quando sarà finita la bottiglia non dovrai essere triste, mio caro XXX, perchè ci penserà Bill a scaldarti il cuore.
Particolareggiatissimamente, YYY
Caro YYY,
Dirty Three, Cormac McCarthy, una pungente mattina di novembre con il sole che fatica ad asciugare la brina che la notte ha gelato sui vetri della macchina. Una serie di immagini pacate, placide, solari e rilassanti. E' questo il caleidoscopio e l'immaginario che immediatamente crea il pezzo d'esordio di questo album, "The Sing". Un disco che andrebbe solo raccolto e protetto come un dono prezioso e che sancisce e consacra uno dei grandi cantautori di oggi. Dai tempi del low-fi, delle cantine, e delle strade ricolme di smog ne e' passato. Purtroppo non c'è stato il dovuto e giusto riconoscimento "ufficiale" ma il cammino è ormai segnato e porta verso la consacrazione. Con una voce imponente, un'ironia barocca, Bill Callahan è ormai un predestinato che con questo bellissimo disco consolida un carriera i cui esordi risalgono al lontano 1990.
Tornando a "Dream River" lasciami solo aggiungere, per completare il tuo pensiero, che "Small Plan" è una ninna nanna in cui la voce del nostro diventa protagonista recitando il consueto ossessivo mantra. In "Spring" invece c'è più spazio per la musica; un grandissimo pezzo ricamato da un flauto magico che strappa applausi a scena aperta. "Seagull" ci porta dalle parti di Tom Waits con un tocco di jazz. In definitiva hai proprio ragione tu! E'impossibile parlar male di questo disco, inutile lamentarsi. Su quest'album non ci può essere sfida tra noi perché a uscirne vincitore sarà sempre e comunque il cantautore di Silver Spring.
Precipitevolissimevolmente, XXX
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