Una tensione interiore continua. Un dialogo cerebrale, asciutto e ipnotico al contempo. Un disco scavato nel silenzio, brani che nascono per sottrazione. Un lavoro che mira all'essenzialità, al cuore di un certo mood del jazz.
Il mood delle ballads in una notte da buttar via come un sogno che non si realizza. Quando la mente oscilla e si culla fra i propri pensieri, i propri desideri e i propri fantasmi. Volteggiando sulle ali di un espressionismo senza meta. Ed imboccare l'ascolto di questo "I Have the Room Above Her" è come mettersi in viaggio senza un perché. Con l'unico motivo che non si può star fermi, che non si possono mettere radici.
È un disco che ricorda l'"Ulisse" di James Joyce, questo. Un album dove tre musicisti immensi come Paul Motian, Bill Frisell e Joe Lovano seguono il flusso della propria coscienza musicale in una trama sottile fatta di poesia e essenzialità. Ma è soprattutto il drumming di Paul Motian a lasciare stupefatti. Un drumming fatto di sussurri, di accenni, di pennellate sottili. Una batteria che non ha più come scopo il ritmo, ma la melodia nella sua purezza e nudità.
A partire dall'opener "Osmosis Part III". Una passeggiata tra i reami dell'irrealtà, con il sax di Lovano ripiegato su stesso in un monologo senza soluzione, la chitarra di Frisell profumata di sonorità mistiche e orientaleggianti, e la batteria glaciale e impalpabile di Motian che mormora come in una preghiera senza fine. Ma sono molti i momenti memorabili di questo disco. Dalla malinconia incistata di "Sketches" al solo di chitarra che ci introduce enigmaticamente in un mondo fatto di "Shadows". Dalla tremebonda e sbilenca "The Riot Act" al dialogo ora rarefatto ora violento di "One In Three".
Un disco universale, senza spazio e senza tempo. Dove si volteggia senza peso dalla prima all'ultima traccia, "Dreamland", fino ad una terra fatta di soli sogni. In una sorta di viaggio celiniano al termine di quella notte che è in ciascuno di noi.
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