“B” DI "BILLIE"-
Siete al mare, in spiaggia, in Salento, in Sicilia o in Liguria, a capire tra un torneo di burraco e un altro se sia più influente il trio Orietta Berti-Fedez-Lauro o Ornella Vanoni e i due siciliani leggerissimi; nel frattempo, a Los Angeles la più grande artisti dei nostri tempi fa uscire il suo secondo Album, sfondando per la seconda volta e più profondamente la scena della musica mainstream mondiale. Per chi ancora non la conoscesse perchè troppo distratto dalle parole crociate, lei è Billie Eilish e lo scorso 31 luglio è uscito il suo secondo album, Happier Than Ever. Una roba incredibilmente bella e vera, che detta il sound dei prossimi 3-4 anni e consacra la “piccola” B, che parla dei retroscena della sua grandezza, alla grandezza. Punto. (e accapo)
L’album racconta quanto la felicità raggiunta dal successo porti con sè degli inevitabili compromessi che mettono in risalto la bellezza del traguardo, rimanendo di fatto la cosa più dolce e bella, nella sua sinuosa pericolosità. Ecco, la vediamo di nuovo Billie, sul filo tra il bene e il male, la felicità e la tristezza, senza l’una non c’è l’ombra dell’altra, e senza ombra non esiste proprio niente, nè identità, nè sole.
Billie lo sa, e sa anche tante altre cose (Getting older). Un’ artista sa che vuol dire essere un’artista, un’artista sa che l’unico modo per esserlo è non esimersi dal far cadere muri, oceani, barriere, e sa che quando cadono, puo’ cadere anche lei. Billie ha 19 anni, è sveglia, è attenta, sa chi è, una roba impressionante alla sua età, lei non si è lasciata convincere dal pensiero per cui il successo da piccoli può distruggere un’intera carriera. E ha avuto il coraggio di parlarne, tirare fuori i mostri e i retroscena, non cadere nelle lusinghe del patinato e delle mezze verità di un mondo fatto di lustrini; così facendo ha creato un legame ancor più indissolubile con il suo pubblico e un sodalizio di sincerità con la sua figura artistica, nei suoi chiaro scuri sempre perfettamento schietta e autentica.
È sempre stato così il rapporto delle teen divas con il successo?
L’8 agosto di qualche anno fa, nel 2000, usciva il singolo di un’altra grande B, Lucky, di Britney Spears, il racconto di una donna splendida, all’apice del successo, che nonostante avesse tutto ciò che una persona possa desiderare, era infelice.
If there's nothing missing in my life, Then why do these tears come at night?. Diceva.
Britney come Billie ha conosciuto l’apice del successo da giovanissima, molti giornali hanno fatto questo parallelismo tra le due biondissime B sull’affacciarsi del nuovo album di Billie che parla proprio di questo, del rapporto della 19enne losangeliana con il successo, di quanto subdolamente alcune dinamiche derivanti da esso si insinuino nella vita di tutti i giorni ma da cui lei prende le distanze per rimarcare magistralmente anche questa volta la sua fortissima personalità che è alla basa del primo come del secondo album, ovviamente le dovute differenze derivanti dalla contestualizzione dei due album. Nelle interviste Billie prende le distanze dalla stellina nata dagli studios dei Disney Club, a buon diritto, affermando quanto la storia di Britney sia infestata di persone che hanno corroso la sua testa fino a prenderne il controllo, persone che non l’hanno veramente supportata, partendo dal suo gruppo di lavoro, passando attraverso il manager , che lo scorso 7 luglio ha dato le sue dimissioni, arrivando alla famiglia, in particolar modo al padre che la tiene sotto la proprio tutela legale da oltre 13 anni (un mondo quello della tutela legale in America tanto subdolo quanto criminoso e efferrato, come si vede nella nuova pellicola di J Blakeson I Care a Lot dello scorso anno).
Il movimento FreeBritney parla di una realtà delirante e di difficile comprensione, su cui è difficile esprimere pareri se soprattutto non si hanno le basi legali per farlo, ma è una situazione ingombrante che ci mostra quanto il successo possa effettivamente mandare all’aria il vissuto intimo di una persona, la sua identità e il suo benessere. Discorsi che sembranotriti e ritriti ripescabili dalla cloaca dell’opinione pubblica, soprattutto molto lontani da chi tutti i giorni prende il caffè e timbra il cartellino, da chi il 31 luglio 2021 probabilmente è in ferie pronto a tuffarsi, veramente poco interessato all’uscita del secondo album dell’artista più giovane e influente del XXI secolo che in una settimana già ha raggiunto le vette delle classifiche. Ma tant’è. Non poteva essere diversamente, nè da una parte, nè da un’altra, tuttavia questo discorso sulla fama riciccia sempre e in tutte le forme, in concomitanza troppo spesso con delle tragedie che si sarebbero potute evitare (Amy).
Billie non è Britney, in comune hanno una lettere e il biondo patinato, a cui Billie è tornata proprio per questa occasione; in effetti temevamo dalle prime foto prima dell’uscita che si sarebbe venduta all’immaginario Monroe, labbra languide, bellezza senza tempo, un corpo sinuoso e di altri tempi, ma Billie è rimasta lei, anzi lo è all’ennesima potenza, e parla di lei e di quello che vive, un progetto che tiene fede a cosa ha detto Finneas O Connor sulla sua realizzazione: “puro nei suoi intenti”.
Come al solito Billie non bada ai clichè, ed è pioniera della nuova musica di tendenza, a ciò che ne verrà fuori, al rock suonato che torna, alle chitarre che si sentono, un linguaggio libero da schemi che si prostra all’identità dell’artista tutta d’un pezzo, proprio come suona il singolo Happier Than Ever, una ballad interpretativamente forte, melodicamente delicata che finisce in un pezzo rock seguendo la scia della Rodrigo, di Willow.
È un lavoro veramente eclettico e variegato che non bada alle mode e va contro ogni schema del pop, tra tracce drum and bass, hip hop, ballate non convenzionali, folk, psichedelia e rock.
Secondo il sito italiano Rockol «questo disco rappresenta la sperimentazione artistica di Billie e Finneas, che vogliono portare musica pop nuova e originale, senza badare a schemi specifici»
L’ album va ascoltato dall’inzio alla fine, con attenzione e compartecipazione, possibilmente liberi dalla convinzione che se una persona nasce Bad Guy debba morire così perchè, come ci dimostra questo album, l’identità è vera quando è libera e se una canzone può iniziare bossa e finire rock, allora Billie si conferma una grandissima artista proprio nella sua capacità di rinnovarsi completamente rimarcando sempre l’unicità della sua B maiuscola, non paragonabile nè a quella della star di Lucky nè a quella sua, di Bad Guy. E stateci.
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