Terzo album, non un numero qualsiasi, spesso identificato come l’album della maturità, quello del dentro o fuori; magari ora in un mondo frenetico che vuole risultati subito non è più così, ma nell’immaginario collettivo di molti lo è ancora. Non poteva esserne certo risparmiata Billie Eilish.
Ancora una volta la paura dello scivolone commerciale era dietro l’angolo, ma Billie probabilmente ha una propria dignità e neanche stavolta si è fatta travolgere dal temuto vortice circostante. Anzi, stavolta è andata pure più in profondità, raffinando ed arricchendo ulteriormente quello che già aveva mostrato. E aggiungo che quel poco di contatto che c’era con la musica commerciale è stato sostanzialmente troncato, quel tocco “urban” che si poteva riscontrare in alcuni brani passati qua non si riconferma, il brano elettropop con un certo potenziale commerciale qui non lo troviamo, qua non c’è ad esempio una “I Didn’t Change My Number”, una “Oxytocin” o una “Therefore I Am”.
Billie continua ad essere così come si è imposta: vellutata, delicata, elegante, continua imperterrita a non avere nulla a che fare con il panorama musicale che la circonda. Sembra uscita da un’altra epoca, quando senti la sua voce accarezzarti le orecchie pensi più ad una cantante jazz che ad una cantante pop, ma anche il lato strumentale non è certo concordante con la robaccia che si è costretti a subire nel ventunesimo secolo; in tutta onestà, quando senti le chitarre rilassate e gli archi eleganti di “Skinny” o le carezze acustiche di “Wildflower” e “The Greatest” non diresti mai che a cantarle c’è una giovane in tenuta da rapper o da skater, piuttosto viene più facile pensare ad una Édith Piaf moderna e più posata, davvero questa ragazzina prodigio ormai cresciuta ha un’eleganza vocale e stilistica d’altri tempi.
Analizzando lo stile adottato ti accorgi davvero che non è un disco alla moda, niente ritmi calienti finto-latini, niente pseudo-rap, niente autotune, niente monotonia imperante né arrangiamenti di una povertà disarmante; abbiamo invece un disco moderatamente vario, con soffici parti di chitarra e basso che non diventano mai veramente rock, giri di sintetizzatori presi in prestito da una certa scena indie, archi raffinati e come già detto chitarre acustiche accarezzanti, mentre quando si va sull’elettronica lo si fa in maniera mai volgare. Una caratteristica che mi è saltata subito all’evidenza è la struttura insolitamente articolata di alcuni brani, slegati dalla forma canzone e sorprendentemente divisi in più parti. “L’Amour de Ma Vie” è un susseguirsi di due composizioni fondamentalmente distinte e completamente diverse ma che si incastrano alla perfezione, la prima confluisce nella seconda con spaventosa naturalezza, un fine jazz-pop nella prima parte e, completamente all’opposto, un vero e proprio synth-pop dal suono prettamente anni ’80 nella seconda. Ma è niente in confronto a ciò che si sente in “Bittersuite” e “Blue”, due brani che non potevano assolutamente passare inosservati ad un ascoltatore di fede prog come me: in essi si individuano ben tre sezioni, sono delle piccole suite sintetizzate in 5 minuti, in pratica è progressive pop! Probabilmente non basterà articolare un pochino i brani per poter parlare di prog ma qui si ricorre proprio ad uno stilema tipico del genere. Chissà se Billie ci prenderà gusto, chi lo dice che osando così non avremo in futuro una nuova Kate Bush… Ragazzi, questo è art-pop!
In tutto questo, la cosa incredibile è che nonostante questa distanza dai classici stilemi pop quest’artista ottiene comunque un successo pazzesco! Cosa vorrà dire? Che la gente ha anche un lato più intimista, riflessivo e ricercato e non ama solo scatenarsi? Che un prodotto ricercato se ben pubblicizzato può arrivare in alto? O semplicemente che in realtà la proposta di Billie è comunque orecchiabile e non così ostica come sembra? Mah, chi lo sa…
In ogni caso, ancora una volta, brava Billie… o bravo Finneas? Perché è ormai noto che la scrittura è condivisa con il fratello, che dietro una solista si cela praticamente un duo; sarei veramente curioso di vedere cosa combinerebbe lei da sola. Ma se questo sodalizio garantisce un tale livello direi che va benissimo così.
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