Non potevo chiedere un ritorno migliore, ritorno facendo debuttare su queste pagine un personaggio del calibro di Billie Jo Spears. Billie Jo Spears; il cognome a posteriori suona ironicamente beffardo, neanche il nome a dire il vero si salva da sgradevoli assonanze, assonanze che fanno sorridere un po' amaramente pensando a chi è stata Billie Jo Spears, alle sue bellissime e semplici canzoni, che sono l'essenza stessa del concetto di "down to earth", ma in maniera mai ovvia e sempre sincera.

Texana DOC, la Spears (per antonomasia) è stata una delle "reginette" del country, soprattutto negli anni '70, e su questo si può imbastire qualche breve riflessione: a parte qualche nome canonico e istituzionalizzato, da noi il country è un oggetto misterioso, poco seguito, direi anche poco capito, spesso frainteso. Un genere che ultimamente ho ricominciato ad esplorare, con un approccio più maturo rispetto al passato, ma di questo parlerò in altre occasioni, anche perchè definire BJ Spears unicamente come artista country è secondo me abbastanza riduttivo, e anche se questa mastodontica raccolta si intitola appunto "The Country Collection" ci si può trovare anche molto altro. Innanzitutto, l'attitudine è assai più liberal sia rispetto ad altre interpreti sue contemporanee (la mia vecchia conoscenza Dolly Parton ad esempio) sia rispetto a gran parte del country moderno: 63 canzoni e nessun "God", nessun "Jesus", nessun "The Lord", e questo già vuol dire tantissimo, poi ci sono "Blanket On The Ground" (la sua canzone simbolo), "What I've Got In Mind" (hit d'alta classifica in UK) e "Mr. Walker It's All Over" (il primo successo, datato 1969): andate a leggervi i testi e scoprirete che non solo non incarnava assolutamente lo stereotipo femminile marito-figli-chiesa ma, nell'ultimo caso, era anche all'avanguardia, non in senso assoluto ma per i canoni del genere (country mainstream) sicuramente si.

Prima di passare alle canzoni, cerchiamo di definire un po' meglio la personalità di Billie Jo Spears come interprete: aveva una voce normale, bella ma "normale", ed è uno dei suoi punti di forza. Una voce che definirei "bruna", e infatti secondo me dà il meglio nei (tanti) episodi venati di blue-eyed soul presenti in questa raccolta. Ma soprattutto era credibile e sincera; era una che cantava con trasporto, con entusiasmo, mettendoci il cuore oltre che la classe; ed è inutile negarlo, inutile nascondersi: di interpreti così si è perso lo stampo. Interpreti che non pretendono niente, voci di cui non ci si stanca mai, ma è soprattutto la semplicità ad essersi persa, ad essere stata svilita, sommersa da inutili orpelli, da ributtanti lustrini. Billie Jo Spears, la sua voce, le emozioni che riesce a trasmettere, hanno avuto su di mè un effetto che definirei quasi terapeutico, perchè in fondo a me basta poco per "accendermi", basta che quel "poco" sia il "poco" giusto.

63 canzoni, dicevamo, e qui c'è ben poco da fare cherry-picking, "The Country Collection" pieno, grondante, nella sua totalità, di bellissime canzoni, di melodie spesso addirittura clamorose. Ed è anche questione di strutture: cori, arrangiamenti, tutto incastrato alla perfezione, e un crescendo come quello di "Blanket On The Ground" non può che esserne il manifesto ideale. Il trademark è sempre quello, e viene riadattato con risultati sempre eccellenti a sonorità più variegate di quello che forse ci si potrebbe aspettare: c'è molto rockabilly, tra cui una splendida e iconica "Lonely Hearts Club", poi "Livin' In A House Full Of Love", "It Coulda Be Me", "Hearts Over Mind". Ma è quando le sonorità si avvicinano a territori più "neri" che Billie Jo esprime pienamente tutto il potenziale della sua voce, reinterpretando in maniera molto felina e sexy il classicissimo "Heartbreak Hotel", in una torch song laguida e soffusa come "Misty Blue" e in ballatone interpretate sempre con la giusta dose di intensità e carica melodrammatica, "Angel In Your Arms" e "Silver Wings And Golden Rings" su tutte, concedendosi occasionalmente anche un registro più "jazzy", crooneristico e confidenziale, ad esempio in una languida "Happy Ever After". C'è anche una riuscitissima cover di "I Will Survive", impreziosita da un breve e piacevolissimo intermezzo di chitarra e da un'interpretazione che, in quando a grinta e credibilità non ha assolutamente nulla da invidiare a quella di Gloria.

E il suo country molto spesso si avvicina a sonorità più generalmente catalogabili come easy listening d'annata, "What I've Got In Mind" ne è l'esempio più evidente, a volte si vira anche su territori "broadwayani", che valorizzano ulteriormente cori e armonie vocali, una delle caratteristiche salienti di tutto il repertorio qui proposto: a tal proposito "I'm Good At What I Do" è una "inspirational song" di assoluta efficacia, senza dimenticare lo charme molto cinematografico di "If You Want Me". E poi il fascino nostalgico di "57 Chevrolet" e "Sing Me An Old Fashioned Song", l'emozione "pura" di "Snowbird", tante altre ballate, in cui si riflette spesso una delicatezza non comune per gli standard del genere, penso soprattutto a "Slow Movin' Outlaw", "She's Out There Dancing" e "See that Funny Little Clown".

Io Billie Jo Spears la metto sulla vetta più alta di un Olimpo perduto, insieme a Petula Clark, con cui condivide la stessa semplicità e la stessa capacità di suscitare trasporto ed empatia. Mi viene da pensare che il suo nome sia meno conosciuto rispetto a quello di tante altre colleghe (dopotutto "Blanket On The Ground" è stata la sua unica #1 in patria) proprio per il suo essere stata una sorta di "anomalia", relativamente parlando, e l'essere comunque una cantante country texana, quindi una figlia di quell'America provinciale, bianca e protestante che di certo non gode di particolare stima da parte di certi circoli intellettualoidi non credo proprio abbia aiutato e favorito una sua potenziale riscoperta e rivalutazione. Ci penso io, allora, omaggiandola con cinque, pienissime stelle; se le merita tutte.

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