Billie Myers, un'altra meteora discografica degli anni '90, quella decade che prometteva la rinascita del rock (come se fosse un bene a prescindere) a discapito del pop patinato degli '80 e che invece non ha fatto altro che creare nuovi stereotipi commerciali, un'altro talento immolato sull'altare del business discografico alla faccia del talento e della meritocrazia, a cui nel mio piccolo intendo rendere omaggio ed approfondire per quello che merita.
Probabilmente il mancato successo duraturo di questa bravissima cantante ed autrice si può individuare in una banale e squallida questione di target: di madre inglese e padre giamaicano, Billie Myers nel suo primo album "Growing, Pains" unisce una strumentazione prettamente rock, quasi unicamente basata su chitarre sia acustiche che elettriche con una stupenda vocalità soul, potente ma al tempo stesso gentile, soffice, delicata e si presenta con un'immagine semplice e pulita, con l'umiltà di chi viene dalla gavetta nei locali e non da qualche stupida girl-band. Il buon (per modo di dire) Desmond Child, produttore di "Growing, Pains" l'aveva capito: questa ragazza andava bene per una hit, ma per i soldi veri la sincerità e la pulizia non pagano, bisognava puntare sull'ostentazione, sull'arroganza, sulla sensualità sbattuta in faccia da peggior bar di Caracas, quindi sulle varie Beyonce, Anastacia, Alicia Keys che da lì a pochi anni avrebbero invaso hit parades e copertine patinate.
Tornando a noi, il debutto di Billie Myers è un album ottimamente curato nella produzione e negli arrangiamenti, in chiave prettamente rock-soul inframezzata da qualche episodio acustico, una sola concessione all'elettronica, nessuna all'hip-hop. La potenza vocale e la classe della cantante anglo-caraibica interpreta in maniera assolutamente perfetta, con la giusta intensità e il giusto senso della misura e dello stile ballads di gran classe e trasporto come la hit "Kiss The Rain", "A Few Words To Many", la più tormentata "Please Don't Shout", una bellissima e liberatoria "You Send Me Flying" e la soffice e consolatoria "Opposites Attact", mentre episodi come "The Shark And The Mermaid" e "Much Change Too Soon" dimostrano una spiccata sensibilità folk, con un tocco di gospel in "Mother, Daughter, Sister, Lover", inno ad una femminilità sincera ed autentica. "Having Trouble With The Language", che ironizza sulle disavventure sentimentali del presidente Clinton e tutta la relativa ipocrisia rappresenta il lato più orientato sul pop rock più "bianco" del disco insieme a "First Time", una canzone che, soprattutto nel ritornello, mette in mostra uno stile radiofonico, spigliato ed orecchiabile che verrà a più riprese riproposto con successo da P!nk, mentre "Tell Me" gioca con l'elettronica, con accenni di world music arabeggiante creando un midtempo rock intenso, suggestivo e sensuale.
Pur essendo un prodotto perfettamente in linea con i canoni radiofonici, "Growing, Pains" è un album di grande carattere e grande qualità, che dimostra che un pop diverso è possibile, ma purtroppo non potrà mai essere predominante nel mondo dell'immagine e del guadagno; molti artisti, anche di talento, hanno scelto di scendere a compromessi con questo, Billie Myers, così come i Fastball in un altro ambito musicale no, con le sue scelte di vita, la sua sincerità, il suo rifiuto a piegarsi a bieche logiche commerciali che l'ha portata ad una dimensione di totale invisibilità mediatica ha dimostrato di essere una testa pensante, una persona vera, una Donna vera, e non un burattino, e questo è ancora più importante dell'essere una onesta e talentuosa cantautrice con una bellissima voce, e per questo merita rispetto ed ammirazione a prescindere, a, perchè no, anche un ascolto senza snobismi e preconcetti.
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